Ne abbiamo già parlato vedendo watashi, boku, ore… Stavolta vediamo la cosa più in dettaglio, limitandoci però ai soli pronomi davvero utili.

Intanto chiariamo una cosa in giapponese i pronomi personali non esistono: grammaticalmente parlando quelli che andremo a vedere sono sostantivi. Seconda cosa, ne esistono davvero tantissimi, ciascuno appropriato in base alla situazione, al parlante (sesso, età, posizione sociale, ecc.), al dialetto… cose del genere. Dunque per conoscere tutti i pronomi che sentirete dire guardando anime, drama e film, questa lezione non basta. Ne parlerò come curiosità prima o poi, ma per ora limitiamoci a ciò che ci serve davvero nella nostra vita quotidiana giapponese^^.

Riepiloghiamo un attimo.  Il Giapponese, non lo dirò mai abbastanza spesso, è una lingua fortemente legata al contesto. Così come noi ci rivolgiamo ad un’altra persona dandole del Tu o del Lei, così in Giapponese cambia il pronome personale utilizzato in base al contesto in cui ci muoviamo, al registro che usiamo per il discorso. Insomma, se parlo con mio fratello o un amico gli do del Tu, se parlo con un professore uso il Lei.
Qualcosa di simile, ma più complesso, accade in Giapponese: uomini e donne spesso usano pronomi diversi e tutti, a seconda dell’età e della persona con cui parlano, usano più di un pronome personale rivolgendosi a qualcuno, parlando di qualcuno non presente e addirittura usano più d’un pronome per dire “io”.
Un’ultima cosa prima di affrontare un pronome alla volta… i pronomi sono spesso scritti in kana (e così andrebbero scritti, ma di fatto si preferisce usare i kanji), come potete vedere anche nel titolo.

Prima persona singolare (io)

私(わたし)watashi
– Significa “Io”, è usato dalle donne di qualsiasi età ed è utilizzabile virtualmente in qualsiasi situazione. E’ usato anche dagli uomini, specie se parlano con dei superiori sul posto di lavoro o con un cliente, e in generale per esprimere rispetto e cortesia (p.e. anche con uno sconosciuto per strada). E’ inadatto però (per gli uomini) in altre situazioni, più informali, ad esempio in famiglia (con moglie e figli, con i propri genitori, ovviamente, e i parenti stretti), con gli amici o la propria ragazza… In situazioni molto formali uomini e donne usano lo stesso kanji… ma con pronuncia “watakushi” (ricordate la pronuncia: watakshi). Le ragazze, in situazioni informali, usano spesso la contrazione “atashi” (usata anche dai gay) o “uchi” che risultano delle espressioni più “kawaii” (carine). Attenzione a “uchi”: vuol dire anche “casa” ed è usato per dire “io” in certi dialetti. Dunque lo sentirete dire anche da ragazzi, ma se non vuol dire “casa” e il dialetto non c’entra, allora è più che altro usato dalle ragazze.

僕(ぼく) boku
– Significa “Io”, è usato dagli uomini in alcuni dei casi in cui watashi è poco indicato. Per dare una definizione potremmo dire “con pari grado e inferiori con cui non si è in particolare confidenza o per risultare educati” (è difficile che un uomo lo usi in famiglia, per quanto tutt’altro che impossibile, o con la propria fidanzata). L’uso di “boku” per i bambini (per le ragazze e gli adulti) e una curiosità interessante sul suo kanji si può trovare in questo post.

俺(おれ) ore
– Significa “Io”, è usato solo dagli uomini (a volte dalle teppiste, ma sono cose che sentirete solo in anime e drama). E’ molto informale (può essere molto scortese se usato nelle situazioni sbagliate) e implica particolare confidenza e familiarità con chi ascolta (un uomo lo userà in famiglia, con gli amici, con la propria fidanzata, ecc).

Seconda persona singolare (tu)

貴方(あなた) anata
– Significa “Tu”. Risulta abbastanza neutro. E’ un’espressione che possiamo definire cortese, rispetto ad altre utilizzabili solo con chi si ha più confidenza (come l’abbreviazione “anta”) o è più giovane di noi. Tuttavia risulta scortese se usato in determinate occasioni. In particolare non va usato se di una persona conoscete il titolo professionale (p.e. Direttore, Dottore, Professore…) o genericamente la professione (p.e. o-hana’ya-san, “signor fioraio”) o se ne conoscete il cognome (Cognome-san sarà Signor…). Inoltre non va usato con i vostri familiari (a meno che si tratti del proprio marito, che le donne chiamano “anata” o “anta”, come a dire “caro”, “tesoro”): chi è più anziano di voi va chiamato col suo ruolo (come dicessimo “signor padre”, “signor fratello”, ecc.), chi è più giovane va chiamato per nome. Anche fuori dalla famiglia ci sono espressioni adatte, che si rifanno al linguaggio familiare (con qualche eccezione, come go-roujin per un anziano), di cui parleremo a tempo debito.
Ad ogni modo è buona norma evitare (anche con un giro di parole) di usare anata, se possibile, dato che alla fine la maggior parte delle volte lo trovate usato “tra parigrado e verso inferiori”.

君(きみ) kimi
– Significa “Tu”. Corrisponde un po’ a boku. E’ tendenzialmente maschile, ma a volte è usato anche dalle donne se devono rivolgersi a bambini o a subordinati (p.e. sul posto di lavoro). Piccola curiosità: mentre (il kanji di “boku”) con diversa lettura (shimobe) e nei composti (p.e. geboku) significa “servo”, il significato originale di “kimi” era “principe”. Oggi è usato per parigrado e inferiori …ed è facile rendersi conto di questa cosa se pensate che il suo kanji è usato anche per il suffisso -kun. P.e. Tamura-kun (che trovate nel titolo) si può scrivere 田村君 …e il contesto necessario per poter usare kimi o il suffisso -kun (invece di -san) è il medesimo utilizzo.

お前(おまえ) omae
– Significa “Tu”. E’ usato esclusivamente in situazioni informali, è un po’ rude quindi è usato principalmente (ma non esclusivamente) dagli uomini. Come anata è spesso usato nella coppia in senso “affettivo” (tesoro, caro), omae è il “corrispettivo maschile” (di norma, ma può usarlo anche una donna). Capita peraltro di sentirlo seguito da -san, così come invece anata può esser seguito da -sama… ma non lo incontrerete spesso. Ovviamente come tutti i “tu” citati, vale sempre per “parigrado e verso inferiori”, perché altrimenti non usate il “tu” (vd. il discorso fatto per “anata”).

Terza persona singolare (lui/lei)

彼(かれ) kare
– Significa “lui” e si usa solo in situazioni informali. Non è brusco o volgare, ma se non hai confidenza con quella persona non usi “kare” per parlarne. Ovviamente, come sempre, se si può usare il ruolo lavorativo o cognome-san (Signor Cognome), è meglio. E’ usato spesso anche come abbreviazione di “kareshi” , 彼氏 , cioè “ragazzo”, nel senso di “fidanzato”.

彼女(かのじょ) kanojo
– Significa “lei”, in situazioni informali e corrisponde a kare. Inoltre significa anche ragazza, fidanzata.

あの人/方(あのひと/かた) ano hito/kata
– Significa “lui” o “lei”, in situazioni più o meno formali (dei due kata è più formale di hito). Difatti, traduzione letterale sarebbe “quella persona”. Può essere riferito a una persona visibile, ma lontana sia dal parlante che dall’ascoltatore, oppure ad una persona assente, ma che è nota a parlante e ascoltatore. Se questa condizione non è soddisfatta dico “sono hito/kata” (che vuol dire sempre “quella persona”). Se lui o lei è presente e vicino al parlante, questo dirà “kochira”, se invece è vicino all’ascoltatore “sochira”… si può dire che siano “abbreviazioni” dell’espressione kochira no kata (la persona che c’è qui) e sochira no kata (la persona che c’è là). Sebbene “kata” sia termine assolutamente rispettoso, se una persona è presente è sempre bene riferirsi ad essa dicendo semplicemente cognome-san (Signor Cognome), non “lui/lei” (certo, a meno che non la stiate presentando, nel qual caso dovrete dire per forza “lui è Tanaka”, è ovvio). Lo stesso vale se la persona in questione è assente: se è nota ai presenti usarne il cognome(+san) è sempre meglio.
Piccola nota: quel bambino o bambina usa sempre “ano”, ma sostituisce “persona” con (ko), bambino/a, piccolo/a. “Ano ko” si usa appunto per i bambini, ma spesso anche per le ragazze (indicativamente non oltre la 20ina). Kochira e sochira sono troppo formali per i bambini quindi si dirà “kono ko” o “sono ko” rispettivamente.

Come per io e tu, anche per la terza persona esistono molti altri modi possibili, uno più interessante dell’altro di esprimersi… ma li lasceremo per un’altra volta.

I plurali

I plurali dei pronomi personali si fanno attaccando un suffisso a fine parola. Il suffisso più “neutro” (e quindi sicuro) è , -tachi; potete usarlo praticamente sempre e per tutti i pronomi. Poi abbiamo un suffisso di grande rispetto (che quindi non uso per la prima persona), -gata, che segue “anata” e “ano kata” (è lo stesso kanji presente in anata e ano kata). C’è un suffisso particolarmente umile: , -domo. E’ molto educato se segue watashi/watakushi per dire “noi” (perché è come auto-sminuirsi, non darsi importanza). Tuttavia è offensivo se segue la 2a o 3a persona (quindi non lo si usa per queste) o altri sostantivi (baka-domo = voi stupidotti/imbecilli ecc). Attenzione! Non è il “domo” di “kodomo” (子供): kodomo è sia singolare che plurale. Per dire noi in modo formale c’è anche un altro termine (non è un suffisso): 我々 “wareware”. Lo si usa quando si parla a nome d’un gruppo (p.e. lo staff di qualcosa, “noi insegnanti”, “noi rappresentati di…”, ecc.).
Infine c’è -ra, che come suffisso è molto colloquiale, quindi di norma non si trova dopo watashi o hito o kata. Il suo kanji è ma non si usa quasi mai perché ha anche un’altra lettura. Anche gli altri suffissi per il plurale usano poco il kanji (come si può vedere nell’immagine poco sopra con scritto 私たちは負けない , noi non perderemo!), ma “ra” è il suffisso che lo usa più di rado… anche perché è il più colloquiale.
Due cose… mentre dico per il femminile sia kanojo-tachi che kanojo-ra, per il maschile dico kare-ra, ma non dovrei dire kare-tachi (si trova, ma non è bello). Allo stesso modo non dico anata-ra (ma posso usare ra con la sua abbreviazione: anta-ra).
Altra avvertenza sui plurali di kanojo e kare… Noi usiamo “loro” anche quando ho un gruppo misto di donne e uomini… non diciamo “esse”, giusto? In giapponese se so con sicurezza che la maggior parte delle persone nel gruppo è donna, dico kanojotachi o kanojora, non karera.
Inoltre come una persona (in gen. bambina) può usare il proprio nome per rendere la prima persona, così può usare il proprio nome seguito da -tachi per dire “noi”. Inoltre lo stesso vale per voi e loro: quando conosco il nome d’una persona nel gruppo (cioè il gruppo che costituisce il “voi” o il “loro” in questione) posso usarne il nome seguito da -tachi. Può trattarsi d’un nome, un cognome, con o senza -san, un termine per un ruolo familiare o, più raramente, un titolo professionale (sensei, tenchousan, ecc). P.e. Kaede-tachi, Takedasan-tachi, neesan-tachi… a indicare la persona enunciata “e gli altri” del suo gruppo (p.e. Kaedesan-tachi è traducibile con “Kaede e gli altri”).
Mi sembra superfluo ma lo specifico: gli aggettivi possessivi al plurale (nostro, vostro, loro) si fanno esattamente come al singolare, per cui il titolo “watashitachi no Tamura-kun” significa “il nostro Tamura”.

Riassumendo per la formazione dei plurali (considero solo le forme più comuni) abbiamo:

1a persona plurale:
watashi prende -tachi (neutro), -domo (più umile/formale), -ra (colloquiale)
watakushi, molto formale, prende -tachi (neutro), -domo (più umile/form.)
wareware è formale e si usa parlando a nome d’un gruppo
boku prende -ra e -tachi
ore prende -ra e -tachi
2a persona plurale:
anata prende -tachi e -gata (più cortese); non -ra!
anta prende -ra e -tachi
kimi prende -ra e -tachi
omae prende -ra e -tachi
3a persona plurale:
kare prende -ra e raram. -tachi (anche per gruppi misti, ma vd. prossimo!)
kanojo prende -ra e -tachi (lo uso se so che ci sono più donne che uomini)
ano hito prende -tachi
ano kata prende -gata
kochira non cambia direttamente (potrei però dire kochira no kata-gata)
sochira non cambia direttamente (potrei però dire sochira no kata-gata)
ano/kono/sono ko prendono -tachi

E’ venuta una superlezione, ma come da titolo “c’è tutto quello che serve” XD
Alla prossima! (-_^)

59 thoughts on “8.I pronomi personali (tutti quelli che servono)

  1. Ottimo! Non vedo l’ora escano i libri promessi 🙂

    Ferme restando le istruzioni che hai dato nei vari post su uso e scrittura dei pronomi personali, ho cercato di riassumere tutte le informazioni più importati sull’argomento in questo specchietto riepilogativo, che mi servirà da “conoscenza generale” per capire meglio una qualunque conversazione giapponese anche se alla fine per il mio uso ne basterà una minima parte. L’ho compilato per ordine decrescente di formalità…quando hai tempo puoi buttarci un occhio per vedere se è giusto?

    Ovviamente se pensi possa essere utile alla comunità che segue questo fantastico sito, lo condivido volentieri 🙂

    https://drive.google.com/file/d/1OkVui6Z_o02XZiM7Vv0lTJxSqXNdUwVQ/view?usp=sharing

    Grazie 🙂

  2. Ecco qualcosa che hai dimenticato:
    TEMEI = TU, MALEDETTO!
    KISAMA / ONORE (leggesi ONORé [cavolo non mi viene la e maiuscola accentata]) = TU, BASTARDO!

    1. Non li ho dimenticati, solo che ho cercato di inserire solo quelli che servono e siccome quelli sono quasi sempre insulti… A proposito
      Temee (doppia E, non EI) è sempre un insulto, ma kisama no (almeno nei media, p.e. è usato in ambiti militari da persone importanti verso subordinati nei drama) e nemmeno “onore” che vuol dire anche me/te/se stesso.
      Il primo, temee, è l’insulto più forte, mentre onore è il più antiquato.

      1. Mm… arigatou gozaimasu Kazeatari-sama, KISAMA wa ii desu.

        Cmq anke wikipedia (alla pagina Lingua giapponese) definisce Kisama come una parola molto maleducata.
        Però grazie lo stesso.

        1. E infatti è generalmente un insulto, ma come ho scritto non lo è sempre. D’altronde basta guardare ai kanji con cui è scritto per capire che non nasce come un insulto: 貴様 il ki di kisama significa nobile.

          Su Wikipedia… Ho scritto o completato io alcune pagine di Wikipedia di lingua giapponese, so bene quanto possano essere parziali le informazioni che contiene.

          P.s. Se con “kisama wa ii desu” intendevi dire “kisama va bene” non è questo che ho detto… E non è questo che vuol dire quella frase.
          Ad ogni modo, mentre temee è sempre un insulto kisama è accettabile (più nei media che nella realtà) in situazioni in cui chi parla è molto più in alto della persona che ascolta… Se non è così e lo usi con qualcuno che è socialmente al tuo stesso livello, un amico, per esempio, ovviamente ne viene fuori un insulto, perché è come se gli dicessi “non sei al mio livello, sei molto inferiore a me”.

          Le parole cambiano d’uso e significato nel tempo… Omae, abbastanza rude, e Kimi (da usare con cura), come kisama un tempo non erano affatto rudi e i kanji con cui sono scritti lo provano.

        2. Oh, ok, voleva essere un insulto “intelligente”… Ma sono 15 anni che insegno, perché fermarmi: “ii desu” non si può usare nel senso di “bravo”, in questo caso la tua frase suona come “Tu no”, come se dovendo scegliere tra delle persone ne scartassi una dicendo, con tono dall’alto in basso, “Tu no” o “Tu… non fa niente/lasciamo stare”.
          Per il resto ti ho spiegato le particolarità di questi vocaboli e le loro differenze: come onore sia datato, kisama un insulto solo a seconda del contesto e di come temee sia in un certo senso il peggiore… Te ne ho perfino chiarito l’origine. Per cui ora se vuoi imparare qualcosa, leggi come si deve i commenti precedenti, altrimenti non c’è motivo per te di commentare ancora, né per me c’è motivo di stare a rispondere a chi non vuole imparare

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