Ho scoperto questa bella iniziativa sul blog Traduzioni e Giappone e ve la ripropongo.

Perché “I  FUKUSHIMA”

Un sabato di giugno sono arrivate a Roma due mamme, venivano da Fukushima con i loro bambini.
Nessuna di loro due parlava italiano, né era mai stata in Italia. A dar loro il coraggio di affrontare il viaggio, mediando con la preoccupazione e la nostalgia per gli altri cari lasciati nella terra ferita e quasi certamente contaminata, è stata senza dubbio la certezza di poter dare ai bambini momenti di serenità e, per il futuro, speranza.

Da quel sabato di giugno a settembre inoltrato si sarebbero alternate nel loro soggiorno a Roma una trentina di mamme con prole, chiameremo tutti i bambini e le bambine Taro e Momo, e tutte le mamme che abbiamo incontrato solo Okaasan. In effetti avevano tutte un tratto in comune, la preoccupazione latente e ben celata che i piccoli potessero essere stati contaminati.
Nel rispetto del pudore e del ritegno che ognuna di loro mostrava nel parlare della tragedia, non racconteremo quanto a fatica ci hanno detto o è stato possibile comprendere dalle loro parole, ma è importante, invece, far arrivare a un numero di persone più grande possibile le sensazioni intense e indelebili che l’incontro con loro ha prodotto.
Come la distruzione delle Torri Gemelle ha ingenerato il senso di incertezza che fa dell’11 settembre una data di non ritorno riguardo alla violenza per mano umana, in qualche misura forse anche “umanamente” prevedibile, l’11 marzo accompagnerà tutti noi come il segno della forza a tutt’ora imprevedibile della natura, il segno di una sfida che l’uomo non deve esasperare.

Dopo l’11 marzo abbiamo tutti cercato di capire, scientificamente e umanamente, quanto fosse accaduto. Grazie al web, ai media, alla tecnologia delle comunicazioni, dopo qualche giorno sembrava tutto chiaro, dopo alcune settimane lo era tanto da far spavento. Qualcosa di quel che non potevamo immaginare ce lo hanno insegnato i bambini e le mamme che abbiamo incontrato.
Che il suolo fosse contaminato dalle radiazioni provocate dallo scoppio dei reattori nucleari, lo sapevamo. Quel che pur sapendo sfuggiva, è che ai bambini era stato necessario imporre alcuni divieti: vietato camminare a piedi scalzi, vietato giocare con la terra, vietato mangiare molte pietanze. Così quando Momo e Taro si sono tolti le ciabatte rimanendo a piedi nudi sulla sabbia di Ostia, le loro grida di gioia e stupore mi hanno svelato quel che gli articoli di giornale e i servizi televisivi di ogni genere non potevano raccontare: per esempio, il piacere semplice negato ai bambini di rotolarsi nella sabbia e camminare sulla riva del mare, senza la minaccia del futuro.
Tenevo per mano Momo sulla battigia, la sua mamma accanto a noi, quando ha detto “Qui non arriva lo tsunami, vero mamma?” .

Sappiamo ora che alcune delle mamme e dei bambini che abbiamo incontrato sono risultate positive al cesio, livelli minimi per ora, che richiederanno un monitoraggio a vita.
Mamme e bambini arrivati qui da Fukushima avevano volontariamente aderito a un programma di ospitalità sponsorizzato tra gli altri da ENIT Tokyo e Roma. Ci hanno raccontato di come sia stato difficile persino prendere la decisione di reperire le informazioni e i documenti necessari per candidarsi, accompagnate da un senso di colpa misto al desiderio di portare anche per breve tempo i loro bambini altrove. Un assessore locale mi ha detto che è stato tutt’altro che facile diffondere la notizia che si poteva partecipare a questo e ad altri programmi simili; si trattava poi di raggiungere in qualche modo la stazione o l’aeroporto per poter andare a Tokyo, mettere insieme bagagli che non si poteva tirar fuori dai cassetti, avere anche una minima disponibilità economica per le spese vive, rinunciare alla possibilità di dare una mano a chi stava cercando di ricostruire da zero case, lavoro, futuro, avendo la forza di affrontare il possibile biasimo di chi restava.

Come potete immaginare, noi di Jasga abbiamo tutti profondi legami col Giappone, più di una collega ha parenti e proviene dalla zona colpita da terremoto, tsunami, scoppio nucleare. Come molti altri, anche noi all’indomani della tragedia abbiamo cercato di dare un aiuto, come potevamo. La nostra raccolta fondi è andata a un ospedale, a un centro per l’assistenza alle persone svantaggiate, a nuclei familiari che riunendosi hanno comprato frigorifero e lavatrice, e una parte del denaro proveniente da una diversa raccolta ad hoc è servito ad aiutare i volontari che si sono occupati dei tanti animali senza più carezze e cibo. Non abbiamo fatto lo stesso per il terremoto di Haiti e per altre tragedie occorse in precedenza perché non c’eravamo ancora o perché non eravamo sufficientemente in contatto tra di noi. Lo tsunami è stato per tutti noi anche uno tsunami emotivo, scatenando il bisogno di condivisione e di solidarietà anche tra chi era solito darsi appena un saluto.

Il 2011 sta finendo e sarà stato per tutti l’anno dello tsunami. Accompagnarne la fine con un pensiero fattivo rivolto alla popolazione che vive tutt’ora senza un tetto, un lavoro e con la minaccia delle radiazioni, è sembrato naturale. Non possiamo aiutare tutti quelli che vorremmo, né dimenticare quanto la potenza del mare e delle viscere della terra renda impercettibile la nostra volontà di condivisione, ma abbiamo voluto provarci.
Per questo I  Fukushima.

Giuliana Carli
Vicepresidente Jasga

Se siete a Roma, non mancate, mi raccomando!

4 thoughts on “Annunci – Bazar di beneficenza per Fukushima

  1. Non riesco ad immaginare tutto il terrore provato….è sconcertante.
    Questa è veramente una bella iniziativa… se ero di Roma o a Roma per qualche motivo, sicuramente avrei partecipato!!

    1. Già, e io che sono a Roma non ci posso andare perchè lo fanno in un giorno feriale, ma che cavolo, un po più di attenzione anche verso quelli che lavorano e vorrebbero esserci!
      Dovrei fare le corse, essere lì prima delle due, e scappare prima delle tre, altrimenti non riuscirei a vedere nulla, che pizza…………

Fatti sentire!

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