Come detto nel titolo, questa lezione è un approfondimento. Non farla non vi comporta alcun danno, ma dando una letta saprete qualcosa in più… e magari capirete meglio alcune cose già dette tempo fa (es. perché i godan sono verbi consonantici?!).

Non tutti sanno che gli ichidan sono divisi in due sottotipi. I loro nomi sono alquanto particolari: kami-ichidan e shimo-ichidan, cioè ichidan di sopra e ichidan di sotto (infatti queste due parole, scritte in kanji, usano le pronunce, rare, kami e shimo, di due kanji comunissimi che immagino sappiate già: 上 (ue), “sopra”, e 下 (shita), “sotto”).

La differenza tra loro è presto detta. Quelli “di sopra” corrispondono agli ichidan che terminano col suono “-iru”, quelli “di sotto” sono quelli che terminano in “-eru”. Si potrebbe obiettare che non è una distinzione molto utile (e per questo in genere gli stranieri che studiano giapponese la trascurano). Una distinzione più interessante si può fare però a partire da questa, guardando per un attimo alla lingua giapponese classica (noi studiamo latino, loro studiano il giapponese classico… nulla di strano).

Non ci avventuriamo in nulla di complesso, scopriamo solo che i verbi che oggi hanno il suono -iru o -eru nell’okurigana (come taberu) appartenevano a coniugazioni separate (kami-nidan e shimo-nidan rispettivamente), mentre quelli che oggigiorno sono fatti da due sole sillabe, con il suono “i” o “e” di -iru/-eru “compreso nella pronuncia del kanji”, solo quelli erano originariamente chiamati kami-ichidan e shimo-ichidan.
È una distinzione che ha già molto più senso e una notevole utilità. Tuttavia i verbi sono anche cambiati dai tempi della lingua classica, sono sparite intere coniugazioni (ad esempio c’erano verbi che finivano in ふ ed altri che finivano in ゆ…) e a dire il vero nel caso degli shimo-nidan, poi diventati shimoichidan la distinzione non è così netta come potremmo sperare. Ad esempio c’erano verbi di due sole sillabe, ma la prima di queste allora non aveva il suono “e” di eru “compreso nella pronuncia del kanji”. Per capirci 寝る “neru” non era uno shimoichidan come ho detto… ma d’altronde non era nemmeno “neru”, bensì “nuru”, cioè senza il suono “e” in questione… e così via per vari altri verbi, come gli attuali 得る eru e 経る heru (che erano uru e furu, alla rentaikei). Lo stesso valeva per i verbi di più sillabe, che oggi sono in -eru, ma al tempo finivano in -uru, come kotafuru (oggi kotaeru 答える) o motomuru (oggi motomeru 求める). L’unico shimo-ichidan che “rispettava” quanto detto era il verbo 蹴る “keru” (calciare) che però (lo fanno apposta?!) nel frattempo è diventato un godan. Insomma un gran casino lo so. Quello che volevo che traeste da questa lezioncina di grammatica classica era solo una cosa: c’è un motivo per cui ho verbi in -eru e in -iru… e c’è un motivo per cui alcuni sono di due sillabe con i suoni “i” o “e” di -iru/-eru “compresi nella pronuncia del kanji”, mentre altri hanno i suoni “i” o “e” nell’okurigana. Niente è illogico come potrebbe sembrare.

Veniamo a una parte un po’ più importante. Se considerate le cose dal punto di vista di chi non ha l’alfabeto ma i kana, e quindi ragione per “sillabe”, le desinenze -eru/-iru non vanno viste in modo così semplice (considerando le 3 lettere che le compongono), ma come se fossero composte ciascuna da due kana. Ad esempio, nel caso di taberu, il suono “-eru” è reso dai due kana べる (beru). Per questo motivo nelle scuole giapponesi si dice che verbi come 見る (miru) o 出る (deru) “non hanno radice” (solo desinenza) …oppure si dice che per loro “tra radice e desinenza non c’è differenza”.
Chiaro? Poiché per questi verbi i kana che rendono i suoni “-eru” e “-iru” sono gli stessi due kana che compongono l’intero verbo (ad esempio みる mi-ru e でる de-ru), siamo solo noi che ragioniamo con le lettere a guardare questi verbi spezzandoli prima della desinenza (m-iru, d-eru).

Tuttavia non è così per la linguistica, che può permettersi di vedere le cose in modo più complicato, senza badare solo ai kana, ma considerando i suoni secondo le lettere latine. A ben pensarci, ricordando che la desinenza è la parte che varia, mentre la radice è quella che resta invariata, posso considerare la radice dei verbi in -eru e -iru come se finisse per vocale, ovvero per -e o per -i. Quindi la radice di taberu è tabe-, la desinenza è -ru (non -beru), mentre un verbo come miru non è privo di radice: la sua radice è mi-.
Al contrario i godan saranno caratterizzati dal fatto che la loro radice finirà con un suono consonantico. Ad esempio prendiamo il verbo tobu, volare. Le sue basi sono toba(nai), tobi(masu), tobu, tobe(ba), tobe, più la falsa base, tobo(u). Quale parte non cambia mai? Ovviamente “tob-“, giusto? E lo stesso vale per tutti i godan come è ovvio: la radice di un verbo godan finirà con un suono consonantico. Ne abbiamo già parlato, a dire il vero, ma mi pare sia il caso di ripeterlo ogni tanto, così siamo sicuri di non dimenticarlo^^.

Certo, spiegando così le cose bisogna partire dalle lettere occidentali, perché altrimenti possiamo dire addio alla definizione: “la radice degli ichidan finisce per vocale, la radice dei godan finisce per consonante“… perché ovviamente simili concetti non sono intuibili dai bambini che non hanno mai visto un alfabeto di vocali e consonanti (solo kana). Inoltre con la definizione della linguistica spezzo i due gruppi di “suoni caratteristici” (eru e iru) che uso per distinguere intuitivamente gli ichidan… almeno per la scuola giapponese.
Nel nostro caso la definizione della linguistica è certamente meglio, quindi ricordatela (posto che ricordiate i concetti di radice e desinenza): “la radice degli ichidan finisce per vocale (es. tabe-ru) la radice dei godan finisce per consonante” (es. kak-u, tob-u, mots-u). Certo, ciò significa anche che (per la linguistica) la desinenza degli ichidan è il suono sillabico “-ru”, mentre la desinenza dei godan è il suono vocalico “u”… e questo rovina la visione degli ichidan come “caso particolare” dei godan (poiché esistono godan che terminano in る, ru, è facile vedere gli ichidan come caso “speciale” di godan).

Bene!
Per concludere questa lezione, difficile da apprezzare (temo possa apparire inutile a molti, anche se alla lunga, vedrete che ha un suo perché), direi che possiamo puntare la nostra attenzione su un altro argomento leggermente avanzato.

Come avrete modo di vedere, costruendo certe forme verbali, a partire da verbi godan o ichidan, dovrete aggiungere delle desinenze che vi permetteranno di volta in volta di formare la forma passiva, potenziale, causativa… Si tratterà di prendere una particolare base verbale (nel caso della forma passiva, ad esempio, si prende la mizenkei) ed aggiungere un “ausiliare verbale” a questa base del verbo. Il “nuovo verbo” che ne nascerà si comporterà seguendo la coniugazione dell’ausiliare!
Nomu, bere, è un godan ovviamente. Se voglio dire “bere troppo” in giapponese uso l’ausiliare verbale “-sugiru” che segue la base ren’youkei del mio verbo. Dunque ottengo nomi+sugiru, cioè il “nuovo verbo” nomisugiru, che si comporta da verbo ichidan poiché “sugiru” è un verbo ichidan. Dunque se voglio crearne la forma negativa scriverò “nomisuginai” (poiché il negativo di sugiru è suginai).

Non dovete ricordarvi questa particolare regola, che vedremo in seguito, ma solo il fatto che se ho un verbo seguito da un ausiliare, è l’ausiliare che determina se il “nuovo verbo” che ho “creato” sarà ichidan o godan.

4 thoughts on “JLPT livello N5 – Grammatica – Approfondimento: kami-ichidan, shimo-ichidan …e ancora godan

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