Gli usi della ~て形 (o テ形) te-kei o “forma in -te”

L’imperativo

imperativo in -te

Come detto, la forma in -te ha numerosi usi. Uno di questi è l’imperativo, quella forma verbale che uso per dare dei comandi. Ad esempio se prendessi un politico – di cui non faremo il nome – e lo buttassi giù da un palazzo gridandogli “Adesso sbatti le ali e vola!” avrei usato ben due imperativi.

Prima di vedere la te-kei usata come imperativo, riprendiamo un attimo l’imperativo… “quello vero”.

Forse ricordate la 命令形 meirei-kei, una delle basi dei verbi viste durante il corso “non sintetico” sul JLPT che ultimamente abbiamo un po’ accantonato in favore di questo, più “in sintesi”.
Se vi ricordate allora saprete che la meirei-kei, cioè la forma imperativa, del verbo 見る miru è 見ろ miro… e se siete proprio bravi, vi ricordate pure che ne esiste una forma meno usata, più letteraria: 見よ miyo.
Se ricordate la meireikei dei godan, sapete che 頑張る (spesso in kana: がんばる) ganbaru, impegnarsi, fa がんばれ ganbare.

Detto tra parentesi, l’imperativo negativo, che non avevamo fatto (e non penso vi servirà per l’N5, ma più probabilmente per l’N4), si fa in modo molto semplice: aggiungendo な na alla forma piana e pronunciando il tutto con un bel tono esclamativo e un accento finale:
見るな miru na si legge come fosse “mirunà!” (;゚Д゚)ェェエエ工
Attenzione perché “na” è anche una particella con lo stesso senso di “ne”, quindi è solo il tono esclamativo a fare la differenza tra “non guardare!” e “guardo, ok?”.

Dunque ora sapete tutto dell’imperativo “versione base” e dovrebbe sorgervi spontanea una domanda: Ma allora cosa c’entra la forma in -te?

La meirei-kei è il “vero imperativo”, ma in una lingua come il giapponese, così attenta allo “status” dell’interlocutore, alla cortesia, a non rischiare d’essere troppo bruschi nell’esprimersi… un imperativo non basta di certo! Ci vogliono modi più “soft” d’esprimersi.

Così ecco che il proliferare d’una serie di forme verbali, che in italiano possiamo tradurre solo con un imperativo, ma in giapponese sono delle specie di “salti mortali” per evitare di usare l’imperativo della meirei-kei… troppo brusco per i gusti giapponesi e usato solo negli opportuni contesti.

La forma in -te, con il suo “carattere sospensivo”, “indiretto” (vedremo in post successivi di cosa si tratta), si presta bene allo scopo.

Dunque troviamo spesso una forma imperativa resa solo con la forma in -te, (vd. l’immagine in alto: また見てね mata mite ne, (lett.) guardate di nuovo, ok?, o meglio “Tornate a vedere il nostro programma”). Ciò vale però in ambito un po’ più colloquiale rispetto alla tipica forma che si impara nei corsi, più “neutrale”.

La forma in ~てください , V-te + kudasai

Di norma avremo la forma in -te seguita da kudasai, non la テ形 te-kei da sola (ed è questa forma -te+kudasai il principale punto di oggi, poiché avete molte più probabilità di incontrarla nel test dell’N5).

ください (o con il kanji: 下さい) è spesso reso con “per favore”. In realtà è un verbo ausiliare e come altri verbi può seguire la te-kei dandogli una certa “sfumatura di significato”… in questo caso l’idea di chiedere un favore.
Per questo la テ形 te-kei seguita da kudasai è certamente più cortese della te-kei presa da sola.

Come sarebbe “kudasai è un verbo”, non sembra affatto un verbo! – direte voi.

Avete ragione, non lo sembra granché, ma è la ren’youkei (irregolare) del verbo 下さる kudasaru, un modo molto rispettoso di esprimere il verbo “dare” (al parlante). Quando metto alla te-kei un verbo che esprime l’azione X e finisco la frase con kudasai è un po’ come se dicessi “mi dia il suo compiere l’azione X” o, un po’ meglio, “mi conceda di compiere per me (il soggetto è un’altra persona) l’azione X”. Insomma, il tutto è reso e inteso come se il compiere l’azione X fosse un favore fatto al parlante.

Il risultato in italiano è quello di aggiungere un “per favore”:

こっちに来て下さい
kocchi ni kite kudasai
Vieni più vicino (lett.: da questa parte) per favore

Perché traduco il tutto con un imperativo? – direte ancora voi.
Ma che ottime domande che fate oggi! – dirò io.

Perché è strano a dirsi ma è così: anche la ren’youkei può essere usata come imperativo cortese!
Certo, non vi serve saperlo per l’N5 (ne riparleremo in futuro), ma non mi sembra male capire subito da dove cavolo arrivi questo “kudasai”.

Le forme negative

Per affrontare questa parte è necessario abbiate letto la lezione sul negativo della forma in -te, se non l’avete fatto questo è il link alla テ形 negativa.

naide kudasaiNel caso il “comando” che voglio dare sia negativo (es. “NON fare questa cosa”, invece di “Fa’ questa cosa”), devo usare il negativo in -naide della te-kei e aggiungere o meno kudasai, come il contesto suggerisce: il verbo che termina in -naide, senza l’aggiunta dell’ausiliare kudasai, è ovviamente più adatto a un contesto colloquiale.

Nell’immagine sopra troviamo, nell’ultima riga, la frase:

過度な期待はしないでください
kado na kitai wa shinaide kudasai
Per favore non abbiate aspettative eccessive

E come vedete abbiamo la forma in -naide+kudasai (cioè la 未然形 mizenkei del verbo seguita da -naide e kudasai, o se preferite la forma negative piana seguita da “de”, te-kei del verbo essere, e kudasai).
Il modo in cui si forma non è molto visibile perché qui è il verbo suru (shinaide) ma possiamo fare un paio d’esempi con qualche altro verbo:

  • 近づかないでください chikazukanaide kudasai = Non avvicinarti per favore.
  • 手を放さないで te wo hanasanaide = Non lasciarmi la mano!

…disse l’uomo che penzolava dal burrone e non aveva tempo per la cortesia del “kudasai”. Che scortese, l’avrei fatto cadere solo per questo.

11 thoughts on “N5 in sintesi – Gli usi della te-kei (2): l’imperativo

    1. Il programma è questo:
      http://www.e-japanese.jp/grammar4.htm
      in teoria siamo ancora al -te kudasai, ma ora affronteremo tutti quelli con la forma in -te, quindi diciamo che manca meno di una colonna…
      Inoltre le cose che mancano sono semplici espressioni fatte, quasi tutte saranno molto, MOLTO più rapide e semplici di quanto fatto finora.

      Per l’N4 ancor non ho scelto un indice su internet, ma probabilmente mi rifarò al kanzen master per il vecchio 3-kyuu (terzo livello), che a detta di quelli del JLPT è uguale all’N4

  1. Mi è piaciuta molto questa lezione e il modo in cui l’hai trattata (il primissimo esempio che hai fatto!). Con questo mi sono chiare moltissime espressioni che sento in dorama e canzoni!
    Piccola nota: all’inizio quando fai l’esempio con ganbaru, il kana non dovrebbe essere ん invece di な?

    1. Grazie mille della segnalazione ^__^ Per ovvie ragioni è di vitale importanza che le parti in giapponese siano precise, perché un utente può capirlo da solo, ma tanti altri no… Se vedi altri errori segnalali sempre per favore (molti temono di risultare antipatici, ma non è così, non per me! ^___^ ).

  2. Ciao, spero questa sia la sezione giusta per farti una domanda, che è più una richiesta di chiarimento che altro. In caso contrario mi scuso.

    Mentre studiavo sulla mia grammatica (quella Hoepli, seconda edizione), per essere precisi la parte in cui si occupa del passaggio dal discorso diretto all’indiretto, mi sono trovato di fronte a un esempio che non ho capito: nella lista dei tipi di discorso che vengono trasformati dal diretto all’indiretto per dimostrare il passaggio dal cortesen necessario per il primo, al piano usato nel secondo, c’è elencato anche quello che il testo definisce “Imperativo, Obbligo”.

    Nel discorso diretto c’è l’esempio: 「動かないで。」
    In quello indiretto, invece: 動いてはいけない。

    Il primo è l’imperativo che descrivi in questa pagina, il secondo una forma piana dei suffissi d’obbligo. Sono certo di essere io ad essermi perso qualcosa, a non aver afferrato qualche dettaglio, ma com’è possibile che la prima sia considerata la forma cortese della seconda? Cosa mi sfugge? E perché si formano in questo modo?

    1. Difatti non lo è. C’è un motivo se si parla di “forma imperativa” e di “espressioni di obbligo e di divieto”.
      Quello che fanno lì è farti un esempio di un discorso diretto in cui è presente un’espressione più “non piana” che “cortese”, mentre nel secondo esempio hai un’espressione di divieto che NON è “discorso indiretto” e definirla così è una forzatura assurda (se subito dopo non c’è un verbo dipo “dire”, come mi pare dal tuo esempio)

      Sarà perché a quel punto del testo non avevano introdotto la cosa, ma avrebbero dovuto scriverti

      xxx-san wa “ugokanaide kudasai” to iimashita. (discorso diretto)
      Il sig. xxx disse “Non muoverti per favore”.
      e
      xxx-san wa ugoku na to itte imasu. (discorso indiretto)
      Il sig. xxx dice di non muoversi.

      Le vere *forme* imperative sono ugoke (affermativa) e ugoku na (negativa).

      Da notare che nel discorso diretto non deve andare *per forza* una forma cortese. Se io cito quel che ha detto qualcuno in forma piana la parte tra virgolette deve essere in forma piana:
      Keikan wa “ugoku na!” to iimashita.
      Il poliziotto disse: “Non muoverti!”

      Invece ugokanaide (kudasai) è un *modo* di dare un ordine. Se c’è kudasai è più cortese, ma sono espressioni proprie del parlato, quindi andrebbero usate solo nel discorso diretto. “ugokanaide” senza kudasai è però un po’ una gray-zone. E il fatto che i giapponesi spesso evitino di mettere le virgolette non aiuta a chiarire il giusto modo di fare.

      Ugoite wa ikenai è in realta una forma che significa “Se ti muovi non va bene” (o *al limite* “Il muoversi non va bene”). Se dopo c’era un punto e non il verbo “(to) iu” allora non c’era discorso indiretto.
      Inutile dire che si può tranquillamente farne la forma cortese ugoite wa ikemasen. Certo, si usa solo nel discorso diretto e l’altra anche in quello indiretto.

      Piuttosto potevano farti un esempio in cui prima di “to iimashita” c’era “-masu/desu” nel caso del discorso diretto e una semplice forma piana nel caso del discorso indiretto.

      “Sugoi bijin deshita” to iimashita. (discorso diretto)
      “Era una gran bellezza” disse.

      Sugoi bijin datta to itte imasu. (discorso indiretto)
      Dice che era una gran bellezza.

      Una nota.
      Mi raccomando di non studiare solo sulla grammatica hoepli (ho conosciuto studenti che lo facevano). Ti serve un corso e consultare *all’occorrenza* la grammatica. Studiare solo su una grammatica (a meno che si tratti di una grammatica graduale come quella che sto per pubblicare) è quasi impossibile o perlomeno controproducente nella maggior parte dei casi.

      Se qualcosa ancora non è chiaro fammi sapere ^_^

      1. Grazie per la risposta, è stata molto utile.

        Prima di tutto, sì, ho commesso io un errore nel non riportare gli esempi nel modo opportuno. Quelli corretti hanno ovviamente il tema e sono seguiti da と e il verbo di comunicazione.

        Per il resto, credo di aver capito cosa mi sfuggiva: sono caduto nell’errore tipico dei principianti, ovvero quello di cercare una regola meccanica che funzioni automaticamente. Fermo restando la forma piana nell’indiretto, in questo caso di cose simili non ce ne sonoè, e mi sono perso. Ad ogni modo, a mia discolpa (nella speranza che non mi stia prendendo qualche libertà di troppo), è anche vero che l’esempio del discorso diretto fatto dal libro non è dei migliori: il vasto utilizzo che si fa della -te kei negativa lo rende un pochino confuso.

        Grazie anche per l’avviso alla fine. Sono l’esempio vivente di quanto sia vero ciò che dici: l’ho scoperto tempo fa, quando comprai la mia prima grammatica giapponese e non ci capii praticamente niente. Prima di dedicarmi al suo approfondimento (o anche soltanto riuscire a capirla), ho dovuto mettere su delle solide basi, che tuttavia, ed evidentemente, non mi sono comunque bastate.

        ノートであなたの実例を使用します。ありがとう、先生。

Fatti sentire!

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