lavorare stancaIl titolo della prima parte di questo articolo era Lavorare stanca e quindi l’ho ovviamente mantenuto, ma la verità è che “Lavorare NON stanca i giapponesi”. Almeno su un piano puramente linguistico.

Come anticipato, per parlare del termine “lavoro” così come viene espresso in giapponese (con una breve escursione nel cinese) dobbiamo discutere dell’origine di almeno quattro termini: tsutomeru, hataraku, shigoto e… samurai.

1. 勤める・務める・努める (tsutomeru)

Il verbo tsutomeru, è in effetti “tre termini in uno”, poiché ha 3 possibili scritture. La prima scrittura è quella che ci interessa di più, poiché significa appunto lavorare. Regge la posposizione に, quindi avrò ad esempio:

(私は)会社に勤めている
(watashi wa) kaisha ni tsutomete iru
(io) lavoro in azienda

L’origine di questo kanji è complessa, ma interessante. La parte sinistra di questo kanji è la parte destra del kanji “kan” della parola 漢字 kanji. Per la precisione equivale a 𦰩 (ma non so se potrete visualizzarlo correttamente. Ad ogni modo, in origine mostrava la pelle di un animale fissata ad una cornice di legno e, nella parte bassa, un fuoco per “essiccarla”. La pelle, così trattata, tende a indurirsi, sì, ma anche a restringersi. Quindi il senso era quello di “minuto”, “piccolo”. Se a questo ci aggiungiamo che la parte destra del kanji è 力 chikara, cioè “forza” (la forza che applico nel far qualcosa), si capisce perché il senso complessivo del kanji fosse “svolgere un lavoro prestando attenzione ai dettagli (qualcosa di “minuto”, no?).

La seconda scrittura di tsutomeru ci importa meno. Significa svolgere (un certo ruolo) o assolvere (un compito/dovere) e regge la posposizione を. Ad esempio posso avere:

・ジェームズ・ボンド役を務める jeemuzu-bondo-yaku wo tsutomeru
interpretare (il ruolo di) James Bond
・兵役を務める heieki wo tsutomeru
fare il servizio militare
・彼女は突然の代役を無事務めた kanojo wa tsotsuzen no daiyaku wo buji tsutometa
Lei(/la ragazza in questione) ha svolto senza problemi il ruolo di sostituta dell’ultimo minuto (meno lett.: anche se chiamata all’ultimo minuto).

La terza scrittura è più interessante della seconda, poiché implica lo sforzarsi, l’applicarsi con impegno in qualcosa. Regge la posposizione に e usa il kanji di 努力 doryoku, sforzo, impegno. Talvolta in alternativa si trova una quarta scrittura, con lo stesso senso, che usa un altro kanji, quello del “ben” di 勉強 benkyou (studio) o di 勤勉 kinben (diligente).

Il kanji più usato, 努, è particolarmente interessante. La parte bassa è ancora 力 chikara, ma la parte alta è 奴 yatsu (tizio), che ritrovo in 奴隷 dorei, schiavo. Questo kanji, diviso in due parti mostra, secondo una comune interpretazione, una donna (女) e una mano (又). Quindi una donna che si applica nel lavoro manuale… oppure secondo un’interpretazione più accurata una mano che va ad afferrare una donna. Chi commetteva un crimine ed era quindi preso prigioniero, veniva poi in genere fatto schiavo… ed ecco che il cerchio si chiude.
Secondo un’altra interpretazione (che non mi sento di avvalorare ma vi riporto lo stesso), poiché in epoca diversa la parte destra del kanji non era resa solo con il simbolo per una mano, ma rappresentava un’intera persona, il lato destro del kanji indicherebbe una donna, mentre il simbolo a sinistra, più semplice in precedenza, non starebbe a indicare una donna, sarebbe invece nient’altro che 力, forza, e quindi il kanji darebbe l’idea di una donna che si applica in un lavoro manuale.

2. 働く (hataraku)

Il secondo termine che vi propongo è hataraku 働く è altrettanto interessante, poiché riguarda unicamente la cultura giapponese, in quanto non esiste questo kanji in cinese (quindi in linea di principio non lo si può nemmeno definire 漢字 “KANji” poiché “kan” si riferisce alla Cina).

働 è infatti un esempio di 国字 kokuji, un kanji creato in Giappone.Potrà sembrare strano il fatto che abbia una pronuncia “on’yomi” (pronuncia d’origine cinese), ovvero “dou”, ma è solo “presa in prestito”…

È composto dal radicale 亻, il radicale di persona (人) posto a sinistra (che per questo è detto 人偏 “ninben”, cioè “persona”+”da un lato”) e dal kanji di ugoku/ugokasu, muovere, 動, che a sua volta è composto dal kanji di “pesante” e “forza (applicata)”, perché serve forza per muovere qualcosa di pesante.
Detto tra parentesi è proprio il kanji di ugoku, 動, che conferisce ad hataraku la sua pronuncia di (falsa) origine cinese.

Insomma, tornando a noi, se 勤める tsutomeru implicava l’attenzione ai dettagli, hataraku implica “il darsi una mossa” o perlomeno “una persona che si muove o che muove qualcosa”.

Terzo e quarto termine… la prossima volta (nel giro di un paio di giorni).

5 thoughts on “Lavorare stanca (seconda parte)

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