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Una domanda frequente quando si è agli inizi nello studio del giapponese (l’ho fatta anch’io!) è proprio quella del titolo!

Il sistema di scrittura giapponese è molto complesso, quindi spesso ci si chiede “Perché non rinunciare ai kanji, e/o possibilmente anche al katakana, per scrivere solo in hiragana, o meglio ancora in roomaji?”

In genere tendo a dare una chiara e completa (e molto lunga) spiegazione del perché il giapponese sia diventato così come è oggi e del perché sia il raggiungimento di un equilibrio tra vari fattori. Mi sono reso conto, però, che la cosa migliore è forse dimostrare con degli esempi l’importanza dei tre punti che sconsigliano le semplificazioni dette.

I punti che vedremo sono tre:

  1. Gli omofoni
  2. Efficacia della comunicazione
  3. La letteratura

Partiamo dunque dal principio e vediamo innanzitutto…

1. Gli omofoni


Gli omofoni sono parole che suonano (dal greco “fonos”, suono) allo stesso (da “homo”) modo. Esistono anche in italiano e possono creare problemi agli studenti stranieri. Si possono scrivere o no allo stesso modo, ma il suono è comunque lo stesso e il significato è diverso. Degli esempi ben noti sono:

  • “miglio” (il cereale) e “miglio” (l’unità di misura della distanza)
  • “hanno” e “anno”, “lago” e “l’ago”

Il fatto è che gli omofoni in italiano non sono molti, in giapponese sì. Pensate solo al fatto che ci sono 67 kanji (81 se facciamo i fiscali) che si pronunciano “shou”. E questo solo tra i 2136 considerati d’uso comune! Possiamo superare i 500 kanji letti “shou”, se consideriamo tutti i kanji di un grande dizionario! (Tranquilli, nessuno li conosce tutti).

Ma non parliamo di kanji, restiamo alle parole e vediamo subito un esempio (una frase abbastanza famosa per la verità). Partiamo dalla scrittura in roomaji:

Ura niwa niwa niwa, niwa niwa niwa, niwatori ga iru

Oook, immagino che a parte “niwa” non ricordiate molto. Vediamo l’hiragana:

うらにわにはにわ、にわにはにわ、にわとりがいる。

La situazione è migliorata leggermente. Abbiamo appena scoperto, infatti, che a volte il “wa” di “niwa” era scritto わ, a volte era scritto は. Per chi non conosce nulla di giapponese ciò potrebbe creare solo ulteriore confusione, ma si tratta di una regola basilare, vi assicuro, con cui si familiarizza in fretta.

Tuttavia sono scomparsi gli spazi e anche chi ha qualche rudimento di lingua giapponese potrebbe trovarsi a faticare un po’.

Vediamo ora la stessa frase scritta comprendendo anche i kanji.

裏庭には二羽、庭には二羽、鶏がいる。
Nel giardino sul retro, due polli, nel giardino sul davanti ce ne sono (altri) due.

È vero, voi non sapete che significano i singoli kanji, immagino, ma vi rendete conto che, dato che i kanji possiedono un significato, anche se sono letti allo stesso modo guardando la frase scritta sulla carta (o sul pc) un giapponese capirà subito di che si tratta!

2. Efficacia della comunicazione


Questo punto è in realtà fatto da due “sottopunti”. Il primo riguarda la lettura e la facilità nella lettura.

L’uso dei kanji, come detto, e, in secondo luogo, del katakana può aiutare molto nella lettura. Potremmo semplicemente ripresentare l’esempio del punto prima, ma val la pena spendere qualche parola in più.

Tanto per cominciare, come saprete, in giapponese non ci sono spazi tra le parole. Come è possibile leggere facilmente un testo? Grazie ai kanji! Una parola è in genere costituita da una radice in kanji e da una desinenza (la parte finale della parola che varia a seconda del ruolo grammaticale che la parola ha), scritta in hiragana. Anche quando una parola è priva di “desinenza grammaticale”, come nel caso di un sostantivo, è in genere seguita da una posposizione, una particella che ne spiega il ruolo logico nella frase (per esempio è con una particella che distinguo soggetto, complemento oggetto, complemento di luogo, ecc) e queste particelle sono scritte in hiragana di norma.

Dunque nella frase giapponese si ripete un “pattern”:

kanji e hiragana, kanji e hiragana, kanji e hiragana, kanji e hiragana, …

Dunque dove ho un kanji inizio una parola, poi ho dell’hiragana (che può essere una desinenza, una posposizione o una congiunzione, un avverbio), quindi di nuovo un kanji, che segna l’inizio di una nuova parola.

Anche il katakana può essere usato per facilitare la lettura, in un certo senso. Se c’è necessità di scrivere una parola d’origine straniera, magari un nome proprio, scrivendolo in hiragana, in una riga piena di altri hiragana, creeremmo un testo di difficile lettura. Prendiamo questo ad esempio: Grazie mille, Signor Jonathan Smith, mi affido a Lei. Pensate se fosse scritto tutto in hiragana, quale incubo sarebbe:

どうもありがとうございますじょなさんすみすさんよろしくおねがいいたします。

Vedete invece che, anche solo a colpo d’occhio, cambia d’aspetto se inseriamo del katakana per il nome, come viene fatto di consueto.

どうもありがとうございますジョナサン・スミスさん、よろしくおねがいいたします。

E migliora ulteriormente se usiamo qualche kanji (per quanto spesso si eviti l’uso dei kanji per alcune delle parole nell’esempio: il nostro vuole essere un discorso valido in generale), nonché una punteggiatura più adeguata.

どうも有り難うございます、ジョナサン・スミスさん。宜しくお願い致します。

Quando i “blocchi di hiragana (o katakana)” sono limitati a 4 o 5 kana, la lettura risulta improvvisamente molto più scorrevole (non so quanto risulti evidente agli occhi di chi non vi è abituato, ma vi assicuro che è così).

Veniamo ora al secondo “sotto-punto”… l’enfasi. Si può porre enfasi su una certa parola, per “sottolinearla” (a livello di contenuto) o per farla risaltare nel testo (i.e. a livello grafico). Così facendo si facilita la lettura e/o la comunicazione di un messaggio. Come si fa a creare quest’enfasi? Noi usiamo il corsivo, il grassetto, la sottolineatura… a volte il MAIUSCOLO. Il giapponese ha anch’esso i suoi modi (puntini, linee, grassetto), ma non ha il maiuscolo… però ha il katakana!

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Il katakana, come forse sapete se avete letto la mia Introduzione alla scrittura giapponese, può servire a vari scopi. Tra questi c’è quello di enfatizzare una parola e/o di interrompere una sequenza di hiragana enfatizzando una parola (con l’effetto di facilitare la lettura). A volte si usa per sostituire un kanji/una parola, perché la sua scrittura è particolarmente difficile (se ne facilita così la lettura), perché si vuole intendere che chi parla non conosce il kanji in questione (è un bambino o uno straniero), o si vuole accentuare il tono con cui la parola è detta (perché si alza la voce o perché a pronunciarla (male) è uno straniero).

Insomma, gli usi del katakana sono tanti, ma il tratto comune è che il suo uso comunica più informazione del semplice suono (ad esempio il fatto che è alto il tono di voce, che la pronuncia è un po’ strana, accentuata… ecc.).

3. La letteratura


Il terzo e ultimo punto che dobbiamo vedere è quello della letteratura. A differenza di Cina e Giappone che nel dopoguerra hanno semplificato e riformato il proprio sistema di scrittura, ma scelto di non abbandonare i kanji, il Vietnam ha deciso di passare a un sistema fonetico (in precedenza anche il Vietnam aveva i suoi kanji). Così facendo però ha perso tutto il suo patrimonio di letteratura classica e ora che sono rimasti in pochi in grado di leggere i classici così come erano scritti, senza perderne nulla, in molti rimpiangono quella scelta.

Cina e Giappone, che con tutto il rispetto per il Vietnam hanno una letteratura d’altro spessore, non potevano permettersi di rinunciare alla propria letteratura: avrebbe significato perdere nell’arco di una generazione millenni di storia, cultura, identità… nonché tutta la bellezza contenuta nella poesia cinese e giapponese, che solo i madrelingua possono apprezzare appieno: i ragazzi che fossero cresciuti con un sistema fonetico al posto dei kanji, l’avrebbero forse letta e studiata in seguito, ma quasi con lo spirito dello straniero, come un italiano che legge un testo latino e, per quanto bravo possa essere, sente che non si tratta della sua lingua e non può apprezzare il testo come invece potrebbe.

Bene, spero sia chiaro perché kanji, katakana e hiragana sono tutti necessari alla lingua giapponese e mi auguro non vi ritroviate più a chiedervi “Perché non si decidono a eliminare questo?”, “Perché non semplificano e tolgono quello?”, ecc., anche perché, mi spiace, rassegnatevi, non succederà. Specie nessuno lo farà per venire incontro a voi nel vostro faticoso e intenso studio di questa bella lingua.

Alla prossima ^__^

11 thoughts on “Perché non eliminare i kanji?

  1. Esposizione delle motivazioni lineare e di grande efficacia,l’importanza di queste informazioni aiuta a prendere coscienza su quello che si stà facendo e poi vogliamo mettere la soddisfazione che si prova quando si scrive,si legge e si parla,sopratutto se non si è madrelingua,utilizzando tutto? Io penso che non vi sia niente di più gratificante nell’assemblare la prima frase completa di tutto e sapere cosa si è scritto,come si pronuncia e cosa vuol dire è una spinta che ti fà andare avanti quando perdi la fiducia per le difficoltà,Grazie.

  2. Sinceramente questa domando non me la sono posta. I kanji rappresentano la cultura, letteratura asiatica (nella maggior parte) e sono anche di aiuto come scritto da te 🙂
    Sono difficili, complessi ma hanno una bellezza non indifferente

  3. Io che sono all’inizio con i kanji, proprio l’altro giorno mi chiedevo “ma cavolo questo è uguale all’altro ma ha un altro significato… ma farne 2 diversi non era più semplice?!”. Poi mi sono risposta: è proprio questo il bello! E’ anche questo che ci affascina di questa lingua, cultura e Paese!

  4. Articolo fantastico e a dir poco esplicativo! Come lucka1995, non mi sono ancora posto la fatidica domanda in esame perchè, arrivato ai kanji del quinto anno, li trovo sempre più interessante ed affascinanti. E’ vero che di momenti duri, quando qualche (maledetto) kanji non ti entra proprio in testa o quando sono più complessi della media, ce ne sono parecchi, ma d’altro canto anche questo fa parte del gioco e toglierebbe non poco divertimento!

    Come sempre un ringraziamento sentito per le tue ammirevoli spiegazioni!

    1. E’ l’atteggiamento giusto, il tuo. Qualsiasi cosa, se ti piace, riesci a farla meglio. A volte si può farsela piacere (a volte no), ma la spontaneità è l’ideale… Se poi uno comincia a studiare, difficilmente resta indifferente ai kanji. Sono difficili, studiarli può essere lungo e noioso (anche in base al metodo), ma hanno un innegabile fascino.

      Prego e grazie a te del complimento ^__^

  5. Ciao e grazie per avermi linkato questa spiegazione su JAPPOP.COM . Ho apprezzato molto la divisione in tre paragrafi, davvero semplice da leggere in un argomento complesso ed importante. 🙂 Beh, ho gradito molto la spiegazione del kanji che aiuta a separare le parole, in effetti…l’aggiunta degli spazi (eheheh sono recidivo, lo so! :D). Quando prenderò piccoli testi in kanji e kana ne apprezzerò la comodità, sì sì.

    L’unico svantaggio di passare totalmente al kana o all’alfabeto (ma non sarebbe bello, onestamente, l’alfabeto! Imparare 100 suoni ci riescono tutti…o quasi…ehmehmehm) è la perdita semantica, c’è niente da fare. Poi ti dirò, se un “team” di letterati si mette una soluzione magari la trova, il brutto è trovare un periodo di transizione per il Popolo: noi italiani ne sappiamo in quanto a transizioni, sono molto poco tollerate, anche le più banali (e questa è cocciutaggine). Figurarsi per un Paese conservatore.
    Non saprei proporre una discussione sul mio tema: quanto si perde e quanto si guadagna a passare ad un sistema solo sillabico (lasciamo da parte l’alfabetico). Così a spanne direi che qualche morto occorre lasciarlo, per un futuro migliore, però ho già parlato troppo: non posso motivarlo, sono ignorante della materia e penso che si dovrebbero scomodare GROSSI luminari della letteratura, studiosi e scienziati, sociologi. I miei studi di sociologia e Lettere sono aspramente insufficienti e andrei solo a ragionamenti di una crapa normale e comunemente mortale. eheheh Quindi: stop, per me.

    Grazie ancora Kaze!!! 😉 Buona serata!

Fatti sentire!

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