heisig 00 covUna domanda che mi viene posta davvero spesso è cosa ne penso della famosa collana (sono tre volumi) dal titolo “Remembering the Kanji” (ricordare i kanji), spesso abbreviato in RtK. Qualcuno tra voi conoscerà il metodo suggerito in questi libri per la memorizzazione dei kanji grazie al nome dell’autore, James Heisig: spesso si parla infatti di “metodo Heisig” e lo si presenta come IL metodo definitivo per imparare i kanji.

James Heisig è un filosofo, che si è sempre occupato principalmente di storia delle religioni e ha vissuto a lungo in Giappone. Tra le sue tante pubblicazioni che nulla hanno a che fare con noi, esiste questo Remembering the kanji, che comprende il famigerato “metodo Heisig”… un metodo che NON è stato inventato da Heisig, sia chiaro, ma noi lo chiameremo così per comodità.

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In cosa consiste il metodo Heisig?


Questo metodo è un metodo di memorizzazione noto a chiunque si sia mai interessato anche solo superficialmente di come ricordare efficacemente qualcosa.

Essenzialmente si tratta di scomporre qualcosa da ricordare (a volte è un lungo numero, un codice o una lista), attribuire a ogni parte (a volte sono cifre, lettere o parole) una precisa “immagine”. Non so, una mano, un unicorno, ecc. Ogni volta che quella parola o cifra compare, nella vostra mente deve affiorare la stessa immagine che avevate scelto all’inizio.

Con le varie immagini relative a ciascuna parte del nostro numero, codice o lista che sia, costruiamo poi una “storia”. Niente di complesso, non facciamo altro che immaginare una immagine particolarmente vivida (spesso assurda) che ci resterà impressa proprio per questa assurdità… ad esempio una mano che accarezza un unicorno che beve da un fiume di salsa al pomodoro(!).

Poiché i kanji sono fatti di vari elementi è possibile associare a ciascun elemento una immagine (possibilmente vicina al significato di quell’elemento) e costruire con queste immagini una storia. Questa storia può o no avere direttamente a che fare con il significato del kanji (meglio di sì ovviamente, ma il metodo non è stato pensato per i kanji, quindi è generico).

Messa così può sembrare assurda, ma se avete provato a studiare i kanji, sapete che non lo è, anzi, molti di voi, come ho fatto anch’io, avranno pensato autonomamente a qualcosa del genere… è quasi inevitabile, quando sapete i significati di singole parti di un kanji e dovete ricordare un significato che sembra avere a che fare con esse.

Un altro libro che usa questo metodo è Kanji Pict-o-graphix. L’idea è quella che vedete nell’immagine qui sotto

kanji pict heisig 01Dunque, sapendo che 氵(sanzui) è l’acqua (come kanji si scrive 水, ma come “elemento” diviene spesso 氵), 日 hi è “sole” e 皿 sara è piatto, possiamo pensare una frase come quella in inglese “Il sole scalda l’acqua in un vassoio”, per ricordare che 温 è il kanji di “scaldare”.

Altro esempio che adoro… 騒 sou, il kanji di un rumore molesto, baccano, insomma è il kanji di casino. È composto da 馬 uma, cavallo, 又 mata, di nuovo, e 虫 mushi, insetti. A me viene subito da pensare “Di nuovo gli insetti sul cavallo… farà un casino!”. Chi non si agiterebbe se infastidito di nuovo da tanti insetti. C’è di che lamentarsi, no? -_^

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Come è strutturato Remembering the Kanji?


La collana in tre volumi è in due parti. Nella prima parte (primo e secondo volume) si studiano 2042 kanji. Per la precisione nel primo volume si studia il loro significato usando il trick mnemonico di cui sopra, Soltanto una volta giunti al secondo volume si rivedono tutti i kanji già visti, studiando stavolta (finalmente!) anche le pronunce.

heisig 01Inutile dire che leggendo il testo nell’immagine vengono dubbi sulla bontà del metodo RtK.

La seconda parte di cui dicevo, ovvero il terzo volume, ripresenta lo stesso schema per quasi un migliaio di kanji… prima forma e significato, nella prima parte del libro, poi pronunce (alleluiah!).

Forse è superfluo dire che la principale e più ovvia critica che si può muovere a questo testo è… perché non studiare subito le pronunce? Perché devo imparare 2000 kanji e ritrovarmi a non poter dire di conoscere nemmeno una parola di giapponese? Non è che la casa editrice tiene un po’ troppo all’idea di farmi comprare due volumi invece di uno? Perché nessuno fa notare che, pur mantenendo il metodo, se si vuole, la suddivisione poteva essere di mille kanji per volume, con pronunce in ogni volume?

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Usare o no Remembering the Kanji?


La risposta, ve la anticipo, è sì e no. Distinguiamo innanzitutto tra metodo e libro. Ecco, io consiglio il metodo e sconsiglio il libro. L’associazione di immagini è efficace (o non sarebbe tra i metodi di memorizzazione). Certo, c’è da dire che da un lato, sarà un metodo più facile da seguire per certe persone e meno per altre; dall’altro lato, poi, che è un metodo che richiede un iniziale sforzo che ci semplificherà la vita dopo, ma nell’immediato potrebbe sembrare un inutile surplus di fatica oppure un esercizio stupido.

E non è tutto qui. Per qualche motivo chi viene da un paese che usa i kanji, di solito non apprezza questo metodo. Forse perché li ha imparati con enorme sforzo e non vuole pensare esistano “scorciatoie” (spoiler: in effetti non esistono). Oppure perché non può immaginare modo diverso da quello usato da bambino (che, a conti fatti, è stato efficace). Fatto sta che tutte le persone asiatiche a cui ho chiesto (cinque o sei) mi hanno risposto con un tono tra l’oltraggiato e il beffardo, che questo non era il modo di fare… o comunque che l’unico vero modo è “quello classico”.

Se il metodo funziona, perché “sconsigli il libro”? – direte voi a ragion veduta.

Un primo motivo è che il libro è in inglese. Troppo spesso troverete parole poco note, che potrebbero creare confusione perché assumono più di un significato (e non riuscite a immaginare quello giusto o presupponete che l’unico significato che conoscete sia quello usato nel testo). Non solo. Stiamo già facendo uno sforzo di memorizzazione enorme, perché tirare in ballo un’altra lingua? Perché rendere meno vivida l’immagine creata usando l’inglese, quando l’importante è proprio creare un’immagine che si “innesti” nel cervello e non si schiodi più da lì?

A prescindere da ciò, rileggiamo la frase sopra, nell’immagine col post-it giallo… siamo sicuri sia un’immagine così “vivida”?

Infine… Perché affidarsi a un libro quando pensare da soli e scrivere una vostra storia personale aumenta la vostra capacità di ricordare?

È quello che ha fatto Shishigami di Kanjimania e io, con il suo permesso, ho inserito le sue storie nel mio mazzo di Anki che trovate a questo indirizzo.

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Si può personalizzare e migliorare il metodo Heisig?


Personalizzare è sicuramente qualcosa di ben accetto. Come dicevo sarà più facile ricordare se inventerete voi la storia (in italiano, ovviamente) per ogni kanji. È possibile però anche migliorare questo metodo?

Il mio consiglio è quello di introdurre l’etimologia vera e propria del kanji nella sua “storia”. Insomma, non avrete più una “storiella”, ma la vera e propria “Storia del kanji” o, perlomeno, userete il significato reale di ogni parte che compone il kanji.

Un testo che usa questo metodo è quello di K. G. Henshall, Guide to Remembering Japanese Characters (1945 kanji, ma è in arrivo la versione nuova da 2136) che tratta l’etimologia, ma comunque comprende anche le storielle del metodo Heisig come aiuto mnemonico. Un altro testo, con meno kanji (1100) è quello di N. K. Williams, Key to Kanji: A Visual History of 1100 Characters, ha spiegazioni più concise (e accurate), usa di più le immagini ed ha una splendida parte introduttiva… unico neo è quello dei pochi kanji. Ecco un’immagine tratta da questo secondo libro.

key to kanjiQuello etimologico è davvero il metodo migliore? Non si può dare una risposta definitiva in materia. Perché è qualcosa che dipende anche da quelli che sono i vostri obiettivi.

Volete esclusivamente efficienza? Allora vi servono immagini vivide e non vi serve l’etimologia dei kanji quando questa risulta troppo complessa o slegata dall’attuale forma del kanji. Ad esempio, ok, farete una splendida figura se sapete che la parte destra di 外 ha a che fare con la divinazione… e vi troverete avvantaggiati quando dovrete studiare altri termini, come ad esempio 占 o 卜, e saprete già che devono essere legati all’idea di divinazione. Però siamo onesti, un’immagine come quella qui sotto, suggerita dal libro che citavo prima Pict-o-graphix, resta più impressa, no?

kanji pict heisig 02N.B. Sì, avete capito bene, sta facendo pipì.

Ma, come vedete, vi serve anche una buona conoscenza dell’inglese per collegare l’espressione “undid his pants” all’immagine sopra e al significato di hazusu (che sì, è anche “undo”, ma non ha a che fare direttamente con il fare pipì!)… e no, non potete semplicemente tradurre in italiano, vocabolario alla mano, e amen: l’italiano “slacciare” non traduce sempre bene “hazusu” (che è più simile a “staccare” o “toglier(si) qc.sa”).

Se poi, infine, usaste il metodo RtK “puro”, quello dell’immagine con il post-it giallo, vi ritroverete anche con frasi come quella citata per 試, verbose e a stento collegate al significato del kanji.

Ma se tanti dicono che funziona… funzionerà davvero, no?! – direte giustamente voi.

A parte che tanti dicono di studiare giapponese, ma hanno fatto poco o niente. A parte dunque che la gente mente, certo, per molti funzionerà, ma funzionerà solo per quelli che effettivamente hanno studiato almeno due volumi e 2042 kanji per due volte… insomma, si sono applicati! Le stesse persone, se non si fossero scoraggiate e si fossero applicate altrettanto, vi assicuro, avrebbero imparato con qualunque altro metodo.

Ma allora cosa è meglio, l’Heisig modificato, tipo Kanji Pict-o-graphix, e in italiano, o un metodo basato sull’etimologia, come quello di Key to Kanji?

Bella domanda. La via migliore, come al solito, sta forse nel mezzo. Leggete l’etimologia, non può farvi male, ma se vedete che è lontana anni luce da un’idea di immagine (relativamente) semplice e vivida, lasciate pure perdere…

D’altronde io stesso sono un appassionato di etimologia, eppure ricordo ancora il primo kanji di 部屋 heya, stanza, come una lampada 立 su un comodino 口, vicino a un letto 阝! (*´艸`*)

Comunque sia, qualunque metodo scegliate, come sempre… Buono studio! (╹◡╹)

21 thoughts on “FAQ – Il metodo Heisig

  1. Personalmente trovo interessantissimi ed affascinanti gli approfondimenti legati all’etimologia e all’origine dei kanji. Non ho un libro specifico su questo argomento ma nei vari corsi che ho seguito ho raccolto qualche fotocopia con spiegazioni simili a quella che riporti da The Key to Kanji (ed ovviamente anche molti appunti). Credo che la discriminante fondamentale sia anche lo scopo che ci prefiggiamo nello studio. Se devo passare un esame all’università è un discorso, cercherò rapidità ed efficienza. Se, come nel mio caso, studio quello che più mi interessa per pura passione ed interesse personale, allora tutto cambia! 😉
    Grazie ancora una volta per i tuoi utilissimi post ^_^

  2. Sotto tuo suggerimento ho scaricato le flash-cards e, inutile a dirlo, quando a lezione è stata lanciata la sfida dei kanji ho stracciato tutti! Lo trovo decisamente utile, soprattutto per le persone che come me non hanno tanto tempo da dedicare allo studio e il tempo quasi se lo inventano (a questo proposito, il tuo post sui trucchetti per ritagliarsi degli spazi per studiare è decisamente efficace). Fai un lavoro straordinario con questo blog!

  3. Non so se qualcuno lo abbia già segnalato o se questo sia il post o la sezione adatta ma, ad ogni modo, lo scrivo qui:
    Nel mazzo (Anki) jouyou, il kanji 糸 (lettura on “SHI”, lettura kun “ito”), è inserito come JLPT N2, ma se non sbaglio quel kanji appartiene al livello N5; magari non sarà il primo errore né l’unico, ma mi sembrava giusto comunicarlo.
    A proposito, mentre che ci sono vorrei porre una domanda: è possibile utilizzare il mazzo jouyou visualizzando esclusivamente le flashcards appartenenti al JLPT N5?
    Grazie in anticipo~

    1. Grazie della segnalazione. Purtroppo i dati sono quelli che ho preso dai database su internet, solo definizioni e pronunce sono controllati da me.
      Su jisho ito risulta n4, tuttavia bisogna vedere che lista è stata usata per l’n5, quella da 80 o quella da 103?
      La lista ufficiale comprendeva solo 80 caratteri, dichiarando però che venivano elencati solo l’80% dei caratteri nel test.
      Quindi a seconda delle liste usate un carattere può apparire in un livello o nel successivo.
      Quindi ito può essere da n4 ma da n3 per un’altra lista.
      Inoltre livelli n3 e n2 erano un unico livello fino al 2010 quando il jlpt è stato riformato e le liste sono sparite. Dunque la divisione tra kanji da n3 e kanji da n2 è arbitraria… i siti internet li hanno divisi per frequenza (anche le liste per frequenza sono abbastanza diverse tra loro) ma i libri come gli pareva… Per cui troverai dei kanji che per alcuni sono da n3 e per altri sono da n2.
      Infine, certi libri e certi siti aggiornano le proprie liste guardando ai nuovi test jlpt che vengono tenuti ogni 6 mesi.

      In conclusione… ito è studiato al primo anno di scuola in Giappone, per cui ti consiglio di studiarlo anche tu, ma non c’è una verità assoluta, temo, su “dove va messo”.

  4. Avevo usato il metodo Heisig diversi anni fa e non sono riuscita a concluderlo. Ho poi trovato WaniKani (sito web) che insegna anche le pronunce dei kanji oltre al significato, aggiungendo una storia per ciascuno. Il sito è però in inglese ed è a pagamento se si vuole andare oltre ai primi 3 livelli.
    Io mi sono fermata dopo poco la metà perché speravo di poter iniziare a leggere qualcosa in lingua originale dopo aver studiato un migliaio di kanji, ma ho fatto male i conti. Sono contenta di aver trovato questo sito dove ho capito quali sono stati i miei errori e quale strada devo intraprendere per avere i risultati sperati. 🙂

Fatti sentire!

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