kanji che odiano le donne, kanji misogini - konjiki yasha

Si dice spesso che il Giappone è una società maschilista e, sebbene ciò coinvolga il punto di vista culturale da cui si guarda ad una società, ciò è anche sicuramente vero a livello di dati oggettivi (es. differenza di stipendio a parità di lavoro)… Ma lo stesso può dirsi dell’Italia e degli USA.

Dunque il Giappone è una società maschilista (se ignoriamo certi aspetti socioculturali), proprio come lo sono tante altre nazioni. Se riconsideriamo certi aspetti… dal nostro punto di vista, perlomeno, il discorso potrebbe perfino peggiorare. Il nostro punto di vista di occidentali però non è l’unico, e ciò va considerato.

Non sono un “fanatico dei fanatismi”, nemmeno quando appaiono giusti, quindi pur essendo un difensore di pari diritti e pari opportunità, non sono qui a scrivervi un appassionato articolo femminista… Non è questo il luogo. Io insegno giapponese e quindi sono qui a parlarvi di parole e kanji, di come questi, pur essendo nati entro società di centinaia, migliaia di anni fa, potrebbero aver plasmato la società moderna.

Detto così sembra pazzesco, ma ripetere una parola (e quindi un concetto) un’infinità di volte è qualcosa che ha un effetto su tutti noi… p.e. portarci a ritenere che sia accettabile vedere qualcuno in una certa luce. Ecco perché i nostri giornali non dovrebbero più scrivere, all’inizio del terzo millennio, “negro” o “muso giallo” adducendo scuse di tipo linguistico …o, anche peggio, senza scuse di nessun tipo.

Ad ogni modo, oggi parliamo di kanji e vocaboli legati all’idea di donna e al mondo femminile e di come questi possano risultare (oggigiorno) misogini, sessisti… vedete voi.

Innanzitutto una nota: quando trattiamo di kanji, bisogna ricordarlo, in effetti ci riferiamo alla Cina, dove sono stati inventati, mentre se parlo di “vocaboli”, allora posso riferirmi anche al Giappone. Divideremo dunque questo articolo in due, guardando prima i kanji e poi i vocaboli.

A. 女 donna, 妥 (sottomessa), 母 madre, 婦 signora e 妻 moglie

Le descrizioni che rappresentano l’uomo sono molto “ragionevoli”. Il kanji di “uomo”, 男 otoko, indica un campo e un aratro, poiché gli uomini lavoravano i campi. Il kanji di marito, 夫 otto, indica un uomo (大 che ora significa “grande” era il disegno di un uomo a braccia aperte) con la tipica acconciatura cinese (i capelli raccolti in alto e “infilzati” da un “fermacapelli”, rappresentato dalla linea orizzontale).

Passando ai kanji che hanno a che fare con la donna invece… rispecchiano sì la società di un tempo, ma nella società moderna risultano molto meno “ragionevoli”.

Tanto per cominciare 女 onna (donna) rappresenta una donna in ginocchio. La donna nell’antica Cina era sostanzialmente una proprietà del marito o comunque al suo servizio, si capisce dunque perché sia rappresentata in ginocchio. Si può vedere chiaramente, qui sotto a sinistra, una linea centrale, che rappresenta sostanzialmente il corpo, che verso la fine si curva a indicare le ginocchia e le gambe piegate.

onna+++++++dakyou+++++++haha

Il secondo dei tre kanji che appaiono qui sopra equivale al primo più una mano che dall’altro opprime, assoggetta al proprio volere una donna. Si tratta del kanji di 妥 che oggi significa un po’ di tutto stando ai dizionari, ma in effetti viene da ubbidiente, sottomessa/o… da cui l’idea di “venire a patti” e di “compromesso” (妥協 dakyou) con cui è usato in giapponese e in più l’idea di “stabile” e di “affidabile”, che si ritrova in cinese.

Infine il terzo kanji che troviamo qui sopra è quasi identico al primo nella sua forma originale… ma molto diverso oggigiorno. Si tratta infatti del kanji di 母 haha, madre, che nasce dallo stesso “disegno” di una donna in ginocchio, in cui però sono stati messi in evidenza i capezzoli, a enfatizzare il seno e il “ruolo di madre”.

Il kanji di “signora”, 婦 (FU) si ritrova in vocaboli come 婦人 fujin Signora (o “madame”, come nel caso di 蝶々夫人 chouchoufujin, Madame Butterfly), o in 夫婦 fuufu, marito e moglie. Ma da quali elementi è formato? Riconosciamo facilmente “donna” 女 sul lato sinistro del kanji, mentre sul lato destro troviamo l’elemento principale di 箒 houki, cioè una mano che stringe una scopa (guardate la terza immagini qui sotto: sul lato destro, in alto, c’è una specie di numero 3, ecco, quello è la mano, sotto c’è una scopa, che un tempo era fatta di fascine di legno legate insieme). Quindi, in sostanza, abbiamo una “signora” definita solo dal suo ruolo di casalinga… tanto che nel corso della storia il semplice disegno di una scopa è stato sufficiente a rappresentare questo concetto di signora, donna, moglie.

fujin (2)+++++fujin (3)+++++fujin (1)

Qui sopra vedete come alcune delle tante forme esistite siano davvero molto chiare da leggere.

Per finire abbiamo il kanji 妻 tsuma, moglie, dove ritroviamo tsumanella parte bassa il kanji di 女 onna (donna), mentre nella parte alta una mano stringe qualcosa, come succedeva nel “disegno” della scopa, più su. È la mano di un uomo che la prende per i capelli (sic!). Un tempo infatti era usanza “trovarsi una moglie” …rapendola dalle tribù vicine (non che i romani facessero di meglio… non so se avete mai sentito parlare del ratto delle Sabine).

E il termine per “sposa”? Di certo avrà un suono più dolce, romantico… no?

Eeehm… purtroppo no! Il kanji di 嫁 yome, sposa, è formato da 女 “donna”, sulla sinistra, e 家 “casa” sulla destra. Il che praticamente ci introduce al prossimo punto!

B. 奥さん okusan e 家内 kanai …più o meno rispetto, ma lo stesso significato: “in cucina, donna!” (ノ`Д´)ノ彡┻━┻

In giapponese (e non in cinese) esistono altri due modi per dire “moglie”: uno, 奥さん okusan, 奥様 okusama, si usa solo quando si parla della moglie di qualcun altro; l’altro, 家内 kanai, è un termine “umile” e va usato solo per la propria moglie (perché si tende a sminuire sé stessi e chi ci è vicini per suonare più rispettosi nei confronti della persona con cui parliamo).

In tutti e due casi non sono i kanji ad essere poco rispettosi nei confronti delle donne, quindi non è l’eredità culturale cinese che è in esame qui, ma il modo di pensare giapponese. L’ “oku” di oku-san e oku-sama è una pronuncia di origine giapponese, mentre la parola kanai usa pronunce di origine cinese… ma la parola kanai in cinese non ha lo stesso significato che ha in giapponese.

L’idea alla base dei due termini è la stessa: 奥 oku significa “dentro”, “nel profondo di”, mentre 家内 kanai significa “dentro la casa” o “la parte interna della casa”.

Perché? Perché “dentro” e “dentro la casa” dovrebbero significare “moglie”?

Perché la parte più interna della casa era il luogo dove viveva una moglie, che a conti fatti (sebbene dipendesse anche dall’estrazione sociale) non usciva mai di casa (e intendo in senso letterale). Una donna “in età da marito” ma non ancora sposata, che venisse anche solo vista da un estraneo era “disonorata”, quasi come fosse stata stuprata… è triste vedere come certe credenze siano tanto universali, quanto dure a morire: discorsi simili si possono trovare nell’antica Grecia, nella Sicilia di 50 anni fa, in certe comunità islamiche di oggi… ecc. Che dire? Tutto il mondo è paese.

Ma è assurdo! Non c’è un termine migliore per indicare una mogli, la propria compagna di vita nella lingua giapponese?!

Uhm… c’è 女房 nyoubou. Unisce i kanji di “donna” e “camera”, e in origine significava “cameriera”. Adesso è un’espressione un po’ vecchia per dire “moglie”, appunto. Ma, ehi, almeno contiene l’idea di “persona”, meglio di niente!

Esiste anche 家人 kajin (formato dai kanji di “casa” e “persona”), che indica sia la famiglia che la propria moglie ma principalmente la famiglia (un po’ all’opposto di 家内 kanai, che significa essenzialmente moglie). Anche questo termine ha la grazia di riconoscere la donna come persona, anche se come “persona della casa”. Va detto però che è un termine davvero poco usato.

Ok – forse dirà qualcuna più speranzosa – ma magari anche le parole per indicare un marito sono poco lusinghiere… magari allo stesso modo non riconoscono l’uomo come persona. Ehm, il termine per dire “marito” (oltre a “otto”, già visto), è 主人 shujin, che significa “persona principale”, eventualmente padrone, proprietario, a seconda dei contesti. Proprio non si scappa, certi kanji davvero odiano le donne!

16 thoughts on “Kanji che odiano le donne

  1. che bell’articolo!!! che fra l’altro mi casca a FAGIUOLO…nel senso che mi offre la scusa per chiederle un chiarimento in merito ai termini di moglie,marito ecc…i membri della famiglia,insomma.Quando si usa uno o l’altro?per esempio,per “marito” ho studiato shujin(o goshujin se non è mio),mentre otto non l’avevo mai sentito…Graazieee!!!

    1. Se hai un po’ di pazienza ne faccio un articolo… non il prossimo, che sarà sul JLPT, ma la volta ancora dopo magari riesco a farlo uscire ^__^

      Intanto… ci sono modi diversi per dire “mamma/madre”. Dipende se uno:
      – parla della propria madre
      – parla della madre altrui
      – chiama la propria madre
      – parla delle madri in generale

      Non sempre esistono modi diversi per ciascuno dei casi visti sopra, per ogni membro della famiglia… ma a volte sì.

      Otto, marito, è un modo per indicare il proprio marito (come “shujin” o “uchi no hito”, più colloquiale del precedente) oppure di parlare dei mariti in generale.
      Goshujin equivarrà invece a “Suo marito”.

      1. aspetto, aspetto!! mi ha incuriosito il fatto che ci siano così tanti modi per dire ciò che per noi alla fine è la stessa cosa…addirittura ho letto su facebook il post di una signora giapponese che parlava del marito e lo chiamava “danna-san”…fra l’altro scritto in katakana,tanto che pensavo fosse il nome del marito(…..!!)…mi sembra di aver sentito questo termine in qualche anime,ma inteso come “signore”,”padrone”…va beh,aspetto l’articolo!!!grazie!

  2. Articolo bellissimo. Peccato per la tua definizione di femminismo, completamente sbagliata. Il Femminismo non è un estremismo e si batte per la parità di diritti e doveri, per l’istruzione, per il welfare e per l’interruzione della violenza. Se scrivi che non vuoi scrivere un articolo femminista mi viene da chiederti “perché no? Qual è il tuo problema?”, oltretutto dopo aver saputo argomentare così bene l’ingiustizia che un linguaggio determinato porta sul piano culturale. Femminismo e maschilismo non sono le facce di una stessa medaglia, il Femminismo non predica la supremazia di un genere sull’altro, per “diritto di natura”.

    1. Io non ho dato una definizione, né giusta né sbagliata, di “femminismo”. Mi considero femminista, da persona, quale sono, con un forte (ma ne basterebbe un minimo) senso di giustizia. Ragion per cui non mi è possibile accettare che qualcuno debba essere considerato inferiore in generale o meno capace sul lavoro, non sulla base di fatti, ma sulla base della genetica. Come dire che due manager qualunque, che fanno lo stesso lavoro, nella stessa ditta, con gli stessi risultati, debbano ricevere un diverso stipendio perché uno è americano e l’altro inglese, uno è bianco e l’altro di colore, uno è uomo e l’altro è donna… Per me è puro nonsense, oltre che qualcosa di inaccettabile e amorale.
      Mi considero poi umanista quando dico che donne e uomini hanno diritto a un congedo parentale, perché non si può riempirsi la bocca parlando di famiglia e poi… Ma mi fermo qui perché andare avanti non ha senso.

      Quel che considero sbagliato è:
      – trasformare il femminismo in un brand o in un modo di porsi e presentarsi, mentre dovrebbe essere un modo di pensare e di essere (tra l’altro indipendente dal genere); è sbagliato anche riempirsi la bocca di slogan solo per appartenere a un gruppo, senza conoscere un dato che sia uno, senza saper discutere sul merito dei problemi… qualcosa di valido sempre, anche al di fuori di questo discorso.
      – fare del fanatismo, che vuol dire pensare di non aver solo il sacrosanto diritto all’uguaglianza, ma anche il diritto di prevaricare e prevalere e/o scegliere di trasformare una lotta per i diritti in una lotta tra sessi laddove dovrebbe esserci solo l’opposizione di chi vuole civilizzare a chi vuole vivere come cavernicoli. Ma attenzione, “fanatismo” (sempre che non si tratti di un fraintendimento) vuol dire anche prendere la frase “non sono un fanatico dei fanatismi”, che è una chiara battuta, e trasformala in un punto di vista serio… o in uno spunto to throw a tantrum… or a troll(?).

      In breve, questo è un blog di giapponese, non sociopolitico, ecco perché non ho voluto fare un articolo femminista. Pur rendendo palese, spero, almeno a chi non cerca polemiche, il mio punto di vista critico verso chi sminuisce il ruolo e la posizione della donna nella società… anche se è qualcuno vissuto e morto due o tre mila anni fa.

      Aver buttato lì la parola “fanatismo” invece è stato per fare una battuta e perché ci sono davvero questo tipo di esagerazioni e io volevo dire “non preoccupatevi, non cavalcherò la moda, non griderò slogan arrabbiandomi… nei confronti di kanji e di chi li ha creati”, perché sarebbe da fanatici, che non riflettono neanche un attimo… che cercano più di identificarsi in qualcosa, di sfogarsi, di far parte di un gruppo (o di una moda), invece di fare, seriamente, una lotta di civiltà. Non riesco a immaginare nessuno che riesca a fare più male di così al movimento e all’ideale femminista. È come prendere Che Guevara e trasformarlo in un simbolo di consumismo.

      1. Ma io non volevo fare polemica. Il senso del tuo articolo si capisce benissimo, ma proprio perché è così sensato ed articolato, la tua affermazione iniziale stona. E da persona che studia queste cose quotidianamente, ti posso dire che – ahimé – strizza un po’ l’occhio a tutti coloro che vengono sui nostri blog dicendo che odiamo gli uomini per il fatto che osiamo rivendicare il fatto che il genere femminile sia composto da persone e non da graziosi oggetti ornamentali. In poche parole, non si capisce che è una battuta, abbi pazienza (d’altronde è noto che i femministi e le femministe hanno uno scarso senso dello humor). 😛

  3. Riporto qui una battuta a proposito che una volta mi era stata raccontata
    Spero solo che qualcuno ne capisca più l’ironia che non la serietà, o ancor peggio la seriosità che non ha nulla a che fare.
    Una donna va al supermercato e si mette in coda alla cassa. Nota all’improvviso che tutti la guardano insistentemente. A lei viene da credere che la guardino perché ha qualcosa che non va, per un luogo comune insomma. All’improvviso uno di loro le si avvicina e le fa notare che le erano cadute le chiavi dalla borsa.
    La donna comunque non fa nemmeno per raccoglierle. Rimane immobile e non fa nulla. All’improvviso le si avvicina un’altra signora, e le raccoglie al posto suo.

    1. Non vorrei sembrarti duro, ma il discorso era bello che finito, creare una discussione è l’opposto di quel che intendevo fare, proprio perché questo sito non è un posto per questo tipo di discussioni… quindi anche se sembra tu voglia sostenermi, chiudiamola qui, non ho bisogno di sostegno, anche perché non c’è una discussione in merito, solo un fraintendimento.

      Questo articolo è solo un discorso sull’etimologia di alcuni kanji e di un paio di vocaboli, con un riferimento alla posizione in cui era relegata la donna nell’antichità… un’epoca in cui, per capirci, si tagliavano le orecchie ai nemici come prova del numero di avversari uccisi. Non ha davvero niente a che fare con il presente.
      Una cosa è il femminismo in sé, che merita il massimo rispetto, ed una cosa è la sua degenerazione… ma nonostante questo rimpiango di aver inserito quelle parole che hanno fatto credere a qualcuno, qualcosa che, è ovvio dal resto del discorso, proprio non penso.

Fatti sentire!

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