Chiariamo. Dicendo i misteri dell’essere mi riferisco ai misteri del verbo essere in giapponese quindi, tranquilli, siete scampati alla lezione di filosofia. Per oggi. Forse. Bwah-ah! ( ゚Д゚)y─┛~~

Ma cerchiamo di restare seri. Perché questo articolo? Perché ho ricevuto una domanda in merito e mi è parsa un’idea ragionevole quella di avere da qualche parte un articolo che riassuma le conoscenze essenziali sul verbo essere …giusto lo stretto indispensabile. No scherzo ancora, vi metterò dentro anche parecchio “superfluo”, per due motivi: (1) sarò onesto, in fondo mi conoscete e sapete che mi dilungo a spiegare anche particolarità di cui non avete mai sentito parlare e che mai più sentirete^^; (2) non possiamo certo annoiare i più preparati con un post sulle basi, vi pare? Anche chi ha dato l’N1 avrà da imparare qualcosa (di sconvolgente) da questo articolo. E ora cominciamo!

Se viene chiesto loro qual è la traduzione del verbo essere molti studenti di giapponese rispondono semplicemente con “desu”.

In realtà però le cose non sono affatto così semplici, per cui seguitemi in questo articolo perché per prima cosa vedrete che è tutto un po’ più complicato di quanto sembra e, poi, resterete di stucco di fronte alla Verità ultima sul “mistero del (verbo) essere”!

Per capire come tradurre il verbo essere  in giapponese dobbiamo innanzitutto capire dove e come compare il verbo essere in italiano. Abbiamo perlomeno 5 casi

  1. Il verbo essere che indica il trovarsi in un luogo. Ad es.: Sono a casa/in cucina/a Milano/allo zoo/in banca/fuori. Frasi del genere rispondono alla domanda “Dove sei?”.
  2. Il verbo essere seguito da un nome. Ad es.: Sono un insegnante/Sono Riccardo. Frasi del genere rispondono alla domanda “Chi sei?”.
  3. Il verbo essere seguito da un aggettivo. Ad es.: Sono felice/soddisfatto/arrabbiato/bellissimo. Frasi del genere rispondono alla domanda “Come sei?”.
  4. Il verbo essere delle forme passate di certi verbi intransitivi (in particolare). Ad es.: Io sono andato in città.
  5. Il verbo essere nelle forme passive. Ad es.: Io sono stato scelto dall’allenatore. Sei stato promosso. ecc.

Gli ultimi due casi in giapponese non hanno nulla a che fare con il verbo essere, nemmeno da lontano. Il passato richiede una specifica forma del verbo (es. iku, andare, diventa itta oppure ikimashita). Il passivo di un verbo si fa con una forma apposta o si usa un verbo attivo dal significato equivalente (es. non “sono stato promosso”, che è passivo, ma “sono passato” o “ho passato l’esame”, che è attivo).

I primi tre casi sono quelli che ci interessano davvero.

1. Il verbo essere che indica il trovarsi in un luogo

Il verbo essere che indica il trovarsi in un dato luogo è reso in italiano con “esserci” (c’è, ci sono, ecc.) o semplicemente con “essere” (es.: Il panda è allo zoo = il panda si trova allo zoo). In giapponese si usano due verbi distinti a seconda che il soggetto sia animato o no.

Se il soggetto è una persona o un animale (vivente) allora si usa il verbo “iru”. Se il soggetto è una cosa (o magari un pesce che avete pronto sul tagliere) allora il soggetto è detto “inanimato” e si usa il verbo “aru”. Vediamo degli esempi.

右にトイレがあります。
migi ni toire ga arimasu.
C’è un bagno sulla destra.

板の上に魚があります。
ita no ue ni sakana ga arimasu.
C’è un pesce sul tagliere.

キッチンにパンダがいるよ。
kicchin ni panda ga iru yo!
(Guarda che) C’è un panda in cucina!

2. Il verbo essere che precede un nome

Il verbo essere che precede un nome, in italiano è detto anche “copula” e forma il cosiddetto “predicato nominale”. Dunque, non troviamo “esserci” (c’è, ci sono, ci siamo…) e il verbo essere non è nemmeno legato a una indicazione di luogo. Invece le frasi sono del tipo “A è B” (cioè “la cosa A è la cosa B”, “io sono X” e così via). Tutte queste frasi usano il verbo です desu, se vogliamo esprimerle in forma cortese, oppure だ da, se vogliamo usare la forma piana. La loro struttura è presentata a volte come AはBです。 A wa B desu.

私です。
watashi desu.
Sono io.

人生は旅です。
Jinsei wa tabi desu.
La vita è un viaggio.

いい天気ですね。/いい天気だな。
ii tenki desu ne. (più cortese) / ii tenki da na. (più colloquiale)
(È) bel tempo vero?

3. Il verbo essere che precede un aggettivo

Il terzo e ultimo caso riguarda il verbo essere insieme ad un aggettivo, a formare il cosiddetto “predicato aggettivale” (che a scuola avrete forse visto come “parte” del predicato nominale). Frasi di questo tipo hanno di norma una struttura tipo XはAです, X wa A desu (la “A” sta per aggettivo e ci fornisce una caratteristica di X).

この料理はおいしいです。
Kono ryouri wa oishii desu.
Questo piatto è delizioso.

家の中は危険です。
Ie no naka wa kiken desu.
L’interno della casa è pericoloso.

In questo caso in giapponese le cose sono un po’ problematiche perché esistono “classi” di aggettivi che si comportano in modo diverso.

Gli aggettivi in -i, come oishii, sono più simili a dei verbi per certi versi (es. si coniugano alla forma negativa, passata ecc.). Questi aggettivi prendono “desu” semplicemente per “divenire espressioni cortesi”. Insomma, questo “desu” ingentilisce il tono del parlante e non funziona da copula come succede in italiano: infatti si può omettere e la frase va benissimo lo stesso, anche se il tono risulta meno cortese. Inoltre dopo un aggettivo in -i non possiamo mai trovare il verbo “da”, cioè “essere” alla forma piana, perché la forma piana di un aggettivo in -i è l’aggettivo stesso senza “desu”.

この料理はおいしい/おいしいです。
Kono ryouri wa oishii / oishii desu.
Questo piatto è delizioso.

Gli aggettivi in na, come kiken, invece, sono più simili a dei sostantivi che a dei verbi e hanno  bisogno del verbo essere per poter essere utilizzati (questo perlomeno ufficialmente, ma ci ritorneremo nell’ultimo paragrafo.).

家の中は危険だ/危険です。
Ie no naka wa kiken da / kiken desu.
L’interno della casa è pericoloso.

E ora, solo per i più curiosi (e avanti con gli studi o rischiate di confondervi le idee)…

*~◯ 💣 ◯~*

💣 La verità sul verbo essere (per i più curiosi)

La verità sul verbo essere è che la classica risposta del classico studente “il verbo essere in giapponese è desu” è sostanzialmente sbagliata: non esiste un verbo essere in giapponese, non come quello italiano visto ai punti due e tre (quello del punto 1 ovviamente esiste, anzi, ce ne sono due: aru e iru).

“Non esiste il verbo essere?!?!” Stai dando i numeri?! – dirà sicuramente qualcuno.

Il fatto “poco pubblicizzato” è che “da” e “desu” sono due diversi verbi ausiliari, ciascuno con la sua declinazione, usati per esprimere un giudizio, proporre una conclusione. Basta un’occhiata a questa tabella su wiki, dove da e desu compaiono alla fine, insieme ad altri ausiliari come (ra)reru, -tai, rashii, sou(da) e così via.

Lo so, sono ben tre notizie abbastanza sconvolgenti queste che vi do in un colpo solo:

  1. da e desu non sono forme dello stesso verbo,
  2. da e desu non sono davvero la traduzione del verbo essere
  3. non esiste nemmeno un vero e proprio verbo essere

…ma le cose stanno proprio così.

Le prove? Per quanto riguarda il primo punto, c’è la forma in -te. Vi hanno sempre detto che la forma in -te del verbo essere è “de”, ma “de” si trova nella tabella linkata sopra, nella riga che riguarda l’ausiliare “da”. Difatti “de” è in realtà la “ren’youkei” di “da”! Le forme in -te di da e desu, invece, sono “datte” e “deshite”, anche se è raro incontrarle e “de” è usata “al loro posto”.

Tra l’altro è proprio da “de” che nascono forme come “de wa nai” e “de wa arimasen” …né l’una né l’altra nascono quindi dalla mizenkei (base negativa) del rispettivo verbo e questo è un altro motivo per cui si è in difficoltà ad ammettere da/desu come “verbo essere”.

Prendiamo il verbo iku. Alle forme negative fa ikanai e ikimasen. Per il verbo essere invece prendiamo: “de” + particella wa + verbo aru al negativo. Possiamo davvero definirla una forma  negativa? Non è nemmeno una parola, sono tre!

Per quanto riguarda il secondo punto (“da e desu non sono davvero il verbo essere”), be’, provarlo è detto fatto… una frase in da/desu non ne ha per forza bisogno!

そうね。あなたの言うとおりね。
sou ne. anata no iu toori ne.  ←  sou DA/DESU ne. anata no iu toori DA/DESU ne.
Eh, sì. È proprio come dici tu.

「春ね。桜もすごくきれい。」”haru ne. Sakura mo sugoku kirei”. “È primavera eh…, anche i Sakura sono proprio bellissimi”.

「そうだな。もう春だな。」”sou da na. Mou haru da na”. “Eh sì. Ormai è proprio primavera”

元気?/元気よ。
genki? / genki yo.  ←  sgenki (DESU) KA? / genki DA/DESU yo.
Stai bene? / Sì che sto bene.

N.B. se a fine frase ho una particella (come ne e yo, non ka), non mettere il da subito prima è da linguaggio femminile (che non vuol dire tutte le donne lo facciano). L’assenza di da di per sé però non implica automaticamente che il linguaggio sia femminile (es. Muri, muri! Impossibile, impossibile!, o dire con aria sognante waa kirei!, Woah, che bello!)

Questo perché da e desu sono ausiliari che servono a dare un giudizio, esprimersi in modo “definito”. Ovviamente “da” è più brusco, deciso (e per questo più usato dagli uomini che dalle donne che preferiscono non usare nulla in un contesto colloquiale), mentre “desu” è cortese, e serve a rendere la frase cortese… ed ecco perché torna tanto spesso (come nel caso degli aggettivi in -i che non necessitano affatto di “da” alla forma piana e usano il “desu” solo per “suonare cortesi”).

Lo stesso non potrebbe dirsi degli aggettivi in na che ufficialmente hanno bisogno del verbo essere “da” o “desu”, ma in realtà nel linguaggio parlato questo scompare, come nel secondo esempio poco più su.

Ciò succede perché la grammatica giapponese “scolastica” è stata riformata, decisa a tavolino, se vogliamo, ma la vera lingua è un’altra cosa… e in questa vediamo che “da” e “desu” e perfino il na degli aggettivi in na (che oggigiorno si dice venga da “da”) hanno origini diverse, sono invenzioni relativamente recenti e hanno una discreta quantità di predecessori e sostituti.

Il fatto è che quando il giapponese è stato riformato ed è stata creata l’attuale “grammatica scolastica”, si era ormai iniziato ad affrontare lo studio della lingua secondo metodi (più) scientifici, importati dagli occidentali, quindi si sono imposte nel giapponese “categorie” occidentali, come quella del soggetto (concetto estraneo al giapponese secondo vari studiosi) …e del verbo essere come lo intendiamo noi occidentali.

Molti libri di testo comunque non considerano da e desu quando parlano di 動詞 doushi, verbi, e creano una “categoria” a parte per le situazioni definite 名詞+だ meishi+da (i.e.: sostantivo + “da”).

Ad ogni modo, il punto in tutto ciò è che alla fine della fiera un verbo essere come lo intendiamo noi, in giapponese, in fondo non esiste e “da” e “desu” sono solo delle “paroline” messe lì per rendere un tono (che afferma, esprime una conclusione o un giudizio), molto più che il concetto di “essere” che immaginiamo noi.

10 thoughts on “I misteri dell’essere

  1. Ho tutti i tuoi post dall’inizio del blog ad oggi, eppure continui a stupirmi, c’è sempre qualcosa di nuovo che non ci hai detto o che hai detto ma che riprendi per aumentare il numero di notizie inerenti quell’argomento. Devo parlare con tua moglie, credo che tu non dorma abbastanza…
    P.S. se li metto tutti in ordine e li stampo, ne facciamo un libro? Magari con i commenti di alcuni personaggi che sono cresciuti con il tuo blog e che ti devono molto.
    Grazie kaze, continua così.

  2. A me sembra complicato. Per un giapponese l’italiano è più semplice che il giapponese per un italiano? Da qualche parte avevo letto che il giapponese era tra le tre lingue più difficili, mentre l’italiano è la più semplice dopo svedese e norvegese.

    1. Non si può creare una vera classifica delle lingue più difficili perché la difficoltà di apprendimento di una lingua dipende dalla lingua di partenza: è più facile imparare lo spagnolo rispetto al giapponese per un italiano, no? Ma per un cinese è più facile imparare il giapponese che lo spagnolo, no?
      Simili classifiche trovate di solito in giro sono riferite a studenti inglesi. Il giapponese è più difficile del cinese per un inglese, tra le lingue più facili invece il tedesco e, mi pare, il francese vengono prima di spagnolo e italiano.

      Se si fa il confronto tra due lingue, come fai tu, chiedendo se per un giapponese l’italiano è più semplice che il giapponese per un italiano, visto il ragionamento finora la risposta dovrebbe essere “sostanzialmente la difficoltà è la stessa” …ed è vero, ma sono difficoltà diverse. Il cervello di un giapponese adulto, condizionato dalla sua lingua, tenderà a riconoscere solo certi suoni (o meglio riconduce i suoni che non conosce a suoni conosciuti) quindi, dato che il giapponese è foneticamente povero, sarà dura per lui riconoscere certi suoni dell’italiano, mentre per un italiano i suoni del giapponese sono tutti relativamente familiari (R a parte, gli altri sono riproducibili con la guida di un insegnante).
      Il giapponese però ha un “accento musicale” molto raro tra le lingue in generale, una via di mezzo tra tono e accento, poiché con la differenza di tono (sono solo due, alto e basso), sostanzialmente crea un accento che però non è di enfasi, come il nostro… insomma, per un italiano Hiroshima di volta in volta suona come Hiroshìma e a volte come Hiròshima, perché non è nessuno dei due. La maggior parte delle volte che sbagliamo a pronunciare dei toni e l’insegnante giapponese ci corregge, la nostra domanda sarà “Ma dove sbaglio? A me sembrano uguali!”.
      Poi si può parlare del ricco vocabolario giapponese e della sua semplice grammatica in opposizione alla complessa grammatica italiana e al suo povero vocabolario…

      …in sostanza, difficoltà in aspetti diversi della lingua, ma nel complesso, probabilmente lo stesso grado di difficoltà e la stessa quantità di studio (poste simili capacità di partenza).

    1. L’italiano in confronto con il giapponese ha un vocabolario abbastanza povero di vocaboli. In italiano dici “conclusione”, ma in giapponese usi un vocabolo per indicare la conclusione di un ragionamento, un altro vocabolo per indicare la conclusione di una storia, un altro vocabolo per indicare la conclusione di un fatto, quello che ne è risultato, ecc.
      Un altro caso, a cui ho dedicato un articolo, è quello della parola “vita”. In giapponese a seconda delle situazioni puoi usare inochi, jinsei, seimei, jumyou, seikatsu, kurashi… in tutti questi casi noi torniamo alla parola “vita”, i giapponesi differenziano.
      Se ti interessa lo puoi trovare qui
      https://studiaregiapponese.com/2017/12/05/vocaboli-finche-ce-vita/

Fatti sentire!

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