Come forse già sapete i 祭り matsuri sono delle specie di sagre. La traduzione più sentita è quella di “festival”, ma siccome non c’è un matsuri a Sanremo, diciamo “sagra”. D’altra parte i matsuri sono spesso organizzati dai templi e/o nel loro “sagrato”, così come le nostre sagre sono spesso organizzate da/davanti a chiese e parrocchie. Fin qui niente di strano, no?

Da qualche anno in qua a questi matsuri si vedono sempre più spesso degli 屋台 yatai (bancarelle) con la bandiera italiana ed un nome misterioso, イタリアンスパボー itarian supaboo, superato solo (per livello di “misteriosità”, intendo) dal prodotto in vendita.

Immagine di uno yatai con il prodotto visibile da lontano, tanto per farvi venire il dubbio
Uno yatai con “il prodotto” visibile da lontano
…così, tanto per aumentare il vostro senso di dubbio e insicurezza

Ora, è risaputo che quanto a relazioni diplomatiche noi italiani siamo di bocca buona. Eravamo amici di Gheddafi e c’è ancora chi lo rimpiange. Il parlamento strabocca di gente che vorrebbe entrare nel letto di Putin, uno che quando era colonnello del KGB faceva il torturatore per la STASI, la polizia segreta della Germania dell’Est… tanto per capirci. Come si può arrivare a far deteriorare le relazioni diplomatiche con un paese come il nostro?

Per esempio si può dire che il nostro non è il campionato più bello del mondo, infilare stereotipi tipo spaghetti, mafia e mandolino, dire che non abbiamo inventato la pizza o parlar male della cucina italiana… ecco, la cucina. Un altro modo è rovinarci la nostra cucina. Ca**o.

Che poi “rovinare” spesso è una parola grossa. Basta solo “reinterpretare”. La cucina italiana o si ama o si ama, tertium non datur. Se la “reinterpreti” non la capisci, se non la capisci non ti parlo più, brutto puzzone cacca pupù!

D’altronde bisogna anche capire che se uno reinterpreta la religione cattolica, il Papa ovviamente parlerà d’eresia; non stupisce quindi il fatto che se uno reinterpreta la cucina italiana, non solo agli italiani ma anche al Papa scapperà un “maccheca**ofai?”.

Ma se certi santi tra noi possono trovare in se stessi la forza di perdonare le “reintepretazioni” e gustarsi una napolitan…

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…a volte nonostante venga ficcata in un panino (che santuomini!)

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Oppure una wa-fuu pasuta con alga nori e… no, non ditemelo, non lo voglio sapere.

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…ebbene, dicevo, sebbene certi santi possano perdonare, secondo me a tutto dovrebbe esserci un limite e quel limite oggi si chiama itarian supaboo.

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Ovvero italian spaghetti bastone (da 棒 bou, bastone) o italian spaghetti ciotola (dall’inglese “bowl”), dipende da a chi chiedi l’etimologia. La sostanza però è la stessa: spaghetti crudi, pepati e salati, immersi nell’olio e cotti in forno o fritti tipo “deep-fried” (come si nota dalle immagini e dalla loro “flessibilità” le preparazioni possono varare).

Va be’, i giapponesi amano “reinterpretare”, sperimentare, specie in cucina. Suppongo che non abbia senso prendersela, e poi potrebbero fare ben di peggio…

…ecco, appunto.

Alla prossima! (´-﹏-`;)

P.s. per chi non avesse colto, si scherzava. Spero di non aver offeso nessuno (i vostri occhi, la fede politica, il vostro senso religioso, quello del pudore…) e di non venir giudicato “incapace di comprendere le altre culture e razzista” (è successo) da qualcuno che chiaramente non mi conosce ma possiede un account facebook e quindi lo deve usare. Ognuno è libero di mangiare quello che gli pare, come gli pare …ma se viene da me gli faccio una amatriciana comeddiocomanda e poi ne riparliamo! 😛

7 thoughts on “Stranezze giapponesi (51) – Supaboo (e altri oggetti del mistero)

  1. hahaha… Articolo divertente e interessante 🙂

    Forse però in questo momento un giapponese che vive in Italia sta scrivendo un post sul suo sito “StudiareDaItaliano.jap” e dice cose analoghe mostrando questa roba 🙂

    Comunque gli spaghetti infilati nei wurstel sono un’idea originale, e con il sugo giusto fanno una bella figura, penso che li proverò.

Fatti sentire!

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