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Miti dello studio – Parlare fin da subito… WOW!

Conoscete tutti quei siti che vi promettono miracoli e di imparare una lingua in 1 settimana, 1 mese o 3 mesi? Sono un po’ come le diete miracolose, le tisane dei monaci buddisti, ecc. ecc. Come tutte le cose che promettono miracoli, non mantengono.

La maggior parte di questi siti promette due cose: “facile” e “divertente”. Tra le parole-chiave ricorrenti c’è “parlare fin da subito” …perché? Ma perché alla fine è quel che vogliamo. E giustamente! Vogliamo utilizzare la lingua che vogliamo imparare, ovviamente, e riuscire a parlare, conversare, ci sembra un ottimo traguardo. E lo vogliamo raggiungere in fretta! Per questo gli autori dei suddetti siti ci vendono esattamente quello che vogliamo: vane speranze.

Un po’ di colpa, va detto, è anche nostra. Accettare la proposta di qualcuno che ci dice che impareremo una lingua in 1 mese è un po’ come accettare la proposta di qualcuno che ci dice che ci farà diventare milionari in un mese: siamo sinceri, sappiamo che probabilmente dietro c’è qualcosa di (più o meno) sospetto.

Quindi “parlare fin da subito” è una bufala? È impossibile? Sì e no. Dobbiamo innanzitutto distinguere tra realtà e finzione, tra “parlare come esercizio” e “parlare come metodo”.

Solo un’ultima nota prima di iniziare. Questo è uno dei miei articoli migliori e più utili. LEGGETELO, non ve ne pentirete. CONDIVIDETELO, ve ne sarò grato. Dico davvero.

Qualsiasi metodo che suggerisca di parlare fin da subito vi sta suggerendo molto probabilmente di imparare a memoria tutto quello che sentite, senza capire perché le cose funzionano in quel modo. È un metodo detto “diretto” che cerca di copiare quello detto “organico”, ovvero il modo in cui i bambini imparano.

Wow, “il modo in cui imparano i bambini”, suona bene! Deve essere il più naturale e quindi il migliore! – dirà qualcuno. No, non lo è, semmai è il più inefficiente per apprendere una seconda lingua. Richiede un paio di anni di ascolto passivo prima di iniziare anche solo a balbettare cose sensate, poi anni di full immersion e 12 anni di istruzione… per arrivare all’abilità linguistica di un ragazzo di 18 anni (che di rado è “impressionante”). E tutto ciò in – pensate un po’ – BEN 18 ANNI!!! Se vi dicessi “ho un metodo fantastico, il più naturale possibile per diventare brav(in)o in una lingua… richiede solo 18 anni”, mi dareste retta?

Anche se fosse un metodo migliore, semplicemente non è possibile imparare come bambini. I bambini imparano, grazie al sistema limbico, in un modo inconscio e, in un certo senso, emotivo. Se fosse possibile imparare come i bambini, tutte le lingue sarebbero ugualmente semplici da imparare con questo metodo e ovviamente non è così (tra l’altro non c’è un video in cui Benny Lewis parli un giapponese decente). Gli adulti per imparare una lingua si appoggiano alla loro intelligenza (i.e. usano letteralmente altre aree del cervello)… e solo per il fatto che Benny Lewis, devo ammetterlo, non ha l’aria di uno che usa molto il cervello,

non possiamo concludere che con il suo metodo impareremo nello stesso modo in cui imparano i bambini, perché semplicemente non è fisicamente possibile per un adulto.

Ma soprattutto non ci converrebbe. Ci sono persone che avendo iniziato a studiare (seriamente) giapponese da adulti (l’età non c’entra davvero nulla), dopo 10 anni scrivevano romanzi in giapponese. Romanzi pubblicati, non fanfiction. Ora, non perché persone del genere ci sono riuscite, può riuscire a tutti. Non tutti hanno la stoffa dello scrittore, però in 10 anni diventare fluenti, ovviamente, e magari a livello native, è possibilissimo; certo con i metodi dei grandi, non con quello dei bambini. Ricordate? 18 anni e… “Mah, bravino…”.

Allora perché metodi del genere hanno tanti fan? – dirà qualcuno. Perché sono bravi a farsi pubblicità. In fondo, non vendono conoscenza, vendono speranze, un’immagine di quel che vorremmo essere, fare, diventare, dei posti dove vorremmo andare…

…magari condendo il tutto con qualche bell’aforisma (una malattia che purtroppo colpisce ancora tantissimi giovani e, di recente, anche i meno giovani)

Wow. Viene voglia di iscrivermi anche a me. Devo trattenermi!

Corsi del genere fanno presa sulla gente anche perché, bisogna dirlo, con i dovuti accorgimenti, diversi a seconda del metodo, si può in effetti imparare qualcosina (a livello di principiante).

“Parlare” infatti non è inutile, è ovvio, ma fare un corso solo audio (tipo Pimsleur) e/o imparare solo facendo conversazione (tipo Fluent in 3 months, il metodo di Benny Lewis) non ci porta lontano.

Se il vostro obiettivo è diventare poliglotti (della domenica), parlicchiare tante lingue e fare i turisti, può essere un inizio, per poi passare a creare il vostro approccio personale, ma se vi interessa una sola lingua (il giapponese spero), il discorso cambia.

Ma ora vediamo nel dettaglio i due metodi, punti forti e punti deboli.

1. Il metodo Pimsleur (e i metodi induttivi)

Il metodo Pimsleur è un classico metodo induttivo, un metodo cioè che si fa un sacco di pubblicità dicendo che non dovrai prendere appunti, non dovrai mai aprire un libro di grammatica, ma solo ascoltare: così facendo imparerai (per magia?) una lingua in poche ore di corso audio.

Nel farsi pubblicità non dicono che dovrai anche, assolutamente, parlare ad alta voce mentre ascolti, ma quello è il vero punto. Il metodo sfrutta infatti una combinazione di SRS (stile Anki), cioè riprendere parole già viste appena prima di scordarle e il rinforzo tramite listening/speaking (se più sensi sono coinvolti mentre cercate di ricordare, ricordate di più). La prova palese di quel che dico è che poche ore di audio devono essere diluite su un intero mese per raggiungere il livello 1 (il massimo è 5 livelli, in 5 mesi): se non fosse uno Spaced Repetition System non ci sarebbe motivo di allungare tanto i tempi.

Cosa dici?! Una lingua in 5 mesi! Cosa vuoi di più?! Uhm… Sembra tutto molto bello, sì, ma c’è la fregatura, anzi due.

1. Si impara solo quello che è previsto che impariamo, per questo motivo il metodo non piace ai poliglotti di norma. Si arriva quindi a imparare nell’arco di pochi mesi una certa dose di vocaboli ed espressioni, ma è molto limitata e quindi possiamo cavarcela solo nelle situazioni previste. In 5 mesi si ottiene un livello base o pre-intermedio (dipende anche dalla lingua), quindi per molti poliglotti è lento.

2. “Dire che non si studia la grammatica” e “non studiare la grammatica” sono due cose molto diverse. In realtà il nome stesso “metodo induttivo” deriva dal fatto che veniamo obbligati a immaginarci da soli la grammatica che sta dietro a certe espressioni, a risalire alla regola a partire da vari esempi… anche se magari non coscientemente. Questo approccio però non è per tutti, perché non tutti hanno una “mente induttiva”, per così dire, e quindi certe persone completeranno il corso ma poi non saranno in grado di parlare appena la conversazione si distaccherà anche di poco dalla situazione vista nel corso (certo, per certi sarà un problema più grave, per altri lo sarà meno o per niente).

2. Il metodo Fluent in 3 months (il metodo diretto)

Il metodo di Benny Lewis è, in sostanza, un vecchissimo metodo detto metodo diretto. Alla fine il suo metodo è fatto in effetti da tantissima pubblicità mirata, frasi ad effetto per motivare e… metodo diretto, per l’appunto. Ciò significa imparare 4 parole e 4 frasi in croce con i frasari (Benny Lewis dice chiaramente di adorare quella perdita di tempo (per me) che sono i frasari) e poi buttarsi e cercare di usarle con dei madrelingua (via Skype o facendo una vacanza all’estero), parlare a gesti quando serve, cercare di limitare l’inglese il più possibile.

Le nuove parole che imparerete in conversazione e quelle che tornando a casa cercherete sul dizionario pensando “avrei dovuto dire questo!” vi resteranno impresse a fuoco in testa, senza dubbio… perché saranno legate alla vostra esperienza personale, multi-sensioriale, e al vostro picco di adrenalina e altri ormoni dovuto alla situazione (un po’ ridicola, se mi permettete).

Attenzione!

È un metodo particolarmente inadatto a chi vuole studiare giapponese e forse il più odiato dai giapponesi; sarà difficile infatti trovare qualcuno disposto a portare avanti la conversazione, per lo stesso motivo per cui i giapponesi non lo vorrebbero mai usare e per cui difficilmente i giapponesi arrivano ad imparare davvero l’inglese: perché l’unica cosa sicura di questo metodo è che è il più imbarazzante mai concepito, l’incubo di tutti gli introversi.

Qui telecamera (aiuta), personalità e nazionalità delle ragazze cinesi (ma Benny credeva fossero giapponesi) giocano a suo favore, eppure una gli fa subito segno di no con la mano sinistra

A questo punto, tra l’altro, torna, anzi, irrompe sulla scena il nostro discorso sull’importanza del vostro obiettivo personale. Il vostro obiettivo è farvi amici negli izakaya (delle “osterie”, diciamo) o nei locali della vita notturna di Tokyo? Assicuratevi di essere di bell’aspetto e poi buttatevi con il metodo diretto, buona fortuna.

Volete leggere manga in lingua originale, o magari il Genji Monogatari? Questi 3 mesi vi saranno utili per studiare il giapponese quanto un corso avanzato di briscola.

3. E allora che faccio? Sto zitto?!

Nessuno dice questo. Per due motivi.

A. Per parlare servono dei muscoli e ai muscoli serve esercizio

Se non parlate, non esercitate i muscoli del viso, la lingua e la gola che devono fisicamente creare il suono! Avere in testa una parola con la sua perfetta pronuncia e riprodurla, infatti, sono cose molto, molto diverse; e la mancanza di allenamento le distanzia ancora di più.

B. Parlare (tra le altre cose) aiuta a ricordare!

Più sensi si usano contemporaneamente nello studio, più si impara: è il “rinforzo” di cui parlavo. Se siete interessati potete cercare “Piramide di Dale” o “Cone of experience”: se vedete delle cifre riportate sulla piramide, considerate che non sono scientificamente provate, ma tenete presente l’idea di fondo che è decisamente reale. La qualità dell’apprendimento e la memorizzazione migliorano se si “diversificano le esperienze e si stratificano i ricordi”. Paroloni per dire che…

Se guardi, ascolti, parli, ripassi e poi ripeti (come se dovessi insegnare a qualcun altro), impari, (o perlomeno) ricordi di più.

WOW! Il miglior metodo del mondo! – dirà qualcuno forse un po’ distratto, ma nel giusto.

Pensate un attimo ai tempi della scuola. Cosa vi facevano fare? Guardavate la lavagna, ascoltavate l’insegnante, facevate domande, ripassavate (vi consigliavano di farlo ad alta voce?) e poi venivate interrogati “spiegando la lezione all’insegnante”.

Esatto, il miglior metodo possibile, anche se non ci credete. E per inciso è il motivo per cui le serie classifiche del rendimento scolastico di liceali e laureati pongono i paesi europei normalmente più in alto di Giappone e Cina, nonostante i ragazzi lì studino anche 10 ore e passa al giorno. In Asia, infatti, spesso l’ascolto in classe è passivo, sempre che ci sia, mentre i compiti a casa sono l’unico vero momento di apprendimento; e sono solo scritti! Non ci sono interrogazioni in classe, solo saltuarie domande.

Ma la scuola italiana fa schifo! – dirà qualcuno. Da studenti i contenuti possono non piacervi, da insegnanti potreste lamentarvi del recente, tragico, abbassamento del livello minimo richiesto, ma quel di cui stiamo parlando è il metodo e in questo la scuola italiana non fa schifo, anzi. Be’, ciò vale perlomeno se è fatta bene, da insegnanti che ci mettono il cuore, nonostante lo stipendio non corrisponda ai loro sforzi.

L’unico modo per migliorare sarebbe aggiungere il metodo socratico (insegnante e alunno che chiacchierano e dibattono sul tema) e quello di Aristotele e della sua “Scuola Peripatetica” (cioè “facciamo due chiacchiere passeggiando”, cosa utile visto che l’attività fisica aiuta la memorizzazione grazie all’aumento di dopamina e adrenalina). Certo, la classe diventerebbe ingestibile e quindi i due metodi in questione vanno scartati dalla Scuola, ma non da noi appassionati di lingue…

4. Cosa posso fare concretamente?

Secondo il metodo che io vi suggerisco “parlare” significa davvero “parlare”, cioè “pronunciare”. Non significa avvicinare un estraneo e farlo morire di imbarazzo mentre gesticolate come folli e cercate a vostra volta di non morire di imbarazzo.

In fondo quel che vi serve principalmente è aprire bocca, emettere suoni, sentirli in associazione ad altre parole, immagini, contesto… Certe app (quelle in stile Rosetta Stone) vi offrono qualcosa del genere, ma da soli (e gratis) potete fare molto di più (anche se nessuno vieta di usare anche un’app agli inizi per cercare di ampliare il vocabolario di base; vd. anche Miti dello studio – Imparare con le app).

Ma cosa possiamo fare concretamente per “parlare e imparare”?

Intanto facciamo i fighi e usiamo la parola “hack”!

1st Language hack! – Quando studiate libro alla mano (dialoghi, vocaboli, kanji, ecc.) ripetete ad alta voce (lo so, è un po’ imbarazzante, ma vi basta essere soli nella vostra camera). Non usate cuffie per l’audio o non sentirete la vostra voce. Nel farlo tenete gli occhi sulla frase/parola/kanji in questione!

2nd Language hack! – Mentre andate in giro riascoltate una lezione, una conversazione, una lista di vocaboli. Meglio ancora, usate il cellulare fingendo di parlare al telefono e invece ripetete la lezione, la conversazione, ecc. a voce alta.

3rd Language hack! – Se siete ad un livello sufficiente per formare semplici frasi, spegnete il cellulare e, sempre fingendo di usarlo, descrivete quello che vedete mentre camminate, fatevi domande e risposte su quel che vedete… tutto ovviamente nella lingua che volete imparare. Lo stimolo visivo (per di più di un’immagine non fissa), uditivo (a meno che si tratti di un albero o un sasso), unito al parlare e al sentire le vostre stesse parole vi permetterà di esercitarvi.

4th Language hack! – Fate shadowing. Ricordate il karaoke? La stessa cosa, uguale uguale, ma non con le canzoni, con testi che abbiano dell’audio allegato (audio + script). Questo vi permetterà di non solo di assorbire meglio la pronuncia naturale della lingua, ma anche di cogliere tutto ciò che non è spiegabile o esprimibile: i toni, i tempi (dove vanno le pause nel discorso), l’enfasi, ecc.

5th Language hack! – Fate conversazione con qualcuno quando potete, ma cominciate con dei NON madrelingua! Per vari motivi tra cui: (1) il tempo del vostro esercizio raddoppierà (non dovrete insegnare all’altro la vostra lingua per ricambiare), (2) anche individuare gli errori altrui è un utile esercizio, (3) sarete pazienti l’uno/a con l’altro/a perché sapete bene cosa si prova a non trovare le parole e non vi sentirete giudicati. Certo, la pronuncia dell’altro non sarà quella giusta, ma a voi serve parlare, la corretta pronuncia la trovate in mille altri posti e modi (specie ascolto, film, ecc. e shadowing).

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Ecco fatto, in 5 paragrafi trovate più informazioni e consigli utili che nel 99% dei siti di lingue online, che SE offrono questi consigli (o molto meno o di peggio), lo fanno a prezzi impressionanti.

A. Serve davvero tutto ciò?

Aiuta. Velocizzerà il vostro studio e vi renderà più veloci a parlare, ma se la domanda è “Posso farne a meno?”, la risposta è: “A differenza dell’ascolto, che è essenziale, in realtà sì, potete fare a meno di parlare, anche per un lungo periodo”.

Di nuovo il vostro obiettivo gioca un ruolo importante: volete leggere il Genji Monogatari? Parlare non vi serve… come dimostrano tanti studenti universitari (che spero mi scuseranno questa frecciatina). Volete andare in Giappone e comunicare? …e allora vi serve comunicare, è ovvio, ma non per forza da subito. Vi racconto la mia esperienza.

Quando ho iniziato con lo studio del Giapponese procedevo a tentoni nel buio, da autodidatta, e sapevo poco o niente di tutto ciò, ma soprattutto… io sono uno che si imbarazza da morire, anche a parlare a voce alta da solo chiuso nella propria stanza.

In anni di studio (2008-2012) avrò detto poche decine di frasi. Ho passato l’N2 nel 2012 quasi a pieni voti, ma senza riuscire a dire due frasi in croce ad uno degli esaminatori, che conoscevo dai tempi dell’università (tanto che mi chiese se non avevo sbagliato livello! Che umiliazione!). Appena tre mesi dopo però, sbarcavo in Giappone e tempo altri due mesi, facendo pratica di conversazione tutti i giorni (con la mia futura moglie) ero in grado di parlare a macchinetta, riuscivo a esprimermi come volevo… o a girare attorno ai “problemi” (trovare un giro di parole per evitare il vocabolo che non conoscevo, senza interrompermi e restando quindi fluente).

Questo perché conoscevo la grammatica e i vocaboli da usare con essa. Sapevo, cioè, già tutto quel che volevo dire e come dirlo, solo che non ero allenato a parlare: mi mancava l’esercizio necessario per pronunciare, richiamare alla mente i vocaboli giusti, “girare attorno” ai vocaboli e alle costruzioni che non conoscevo… Per arrivare eventualmente a saltare il passaggio mentale della traduzione e usare direttamente il giapponese per praticità e velocità. Ma indovinate un po’… questa NON è la parte difficile dell’imparare una lingua!

Tutto ciò non è nemmeno solo la mia esperienza personale. Due miei studenti, finiti in Giappone dopo aver fatto lezione con me, mi hanno riportato la stessa esperienza: panico iniziale e, tempo due mesi… veloce parlantina! Varie testimonianze, poi, si trovano anche su internet. Eccone una molto interessante:

But before going to Korea I immersed myself in Korean movies, Dramas, audio books etc and when I landed I was surprised that I could understand Korean very well but I had a problem speaking it (couldn’t form sentences and could not find the words in my head)… But one month in Korea and I had started speaking and now can speak Korean well (I still study it in my free time) and I keep it up by having Korean conversations in my mind regularly so as I don’t forget the vocabulary.

Prima di andare in Corea mi sono immersa tra film coreani, serie tv, audio libri, etc. e quando sono atterrata mi sono sorpresa di riuscire a capire bene il coreano, ma avevo problemi a parlarlo (non riuscivo a creare frasi, non riuscivo a trovare le parole giuste nella mia testa)… Ma in un mese passato lì ho cominciato a parlare e ora [posso dire] di parlare bene coreano (continuo a studiare nel mio tempo libero) e insisto facendo conversazione in coreano nella mia testa, così da non dimenticare i vocaboli.

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Che è esattamente quel che vi dico anch’io, solo che …chi scrive non è consapevole di cosa ha fatto.

5. In conclusione, riassumiamo.

“Parlare fin da subito”… all’inizio vuol dire solo ripetere, perché conversare è assurdo (e un suicidio sociale?).

② Ma aiuta? Sì, aiuta sicuramente, velocizza l’apprendimento rinforzando la memorizzazione, rende fluenti e migliora la pronuncia.

③ Come posso farlo? Cogliendo ogni occasione per unire più esperienze sensoriali (vedere, ascoltare, parlare, muoversi) e possibilmente ripetere a qualcuno, “spiegargli la lezioncina”, cercare di rispondere alle sue domande (e documentarsi se non si sa rispondere).

④ Devo farlo per forza nonostante la timidezza o non riuscirò mai a imparare una lingua? No. Può essere utile a vincere la vostra timidezza, ma non lasciate perdere il giapponese perché non potete guardare un treno che arriva e fingere di dire al telefono “Sta arrivando il treno! Che veloce!” ecc.

D’altronde il Cardinal Giuseppe Mezzofanti è considerato uno, se non il più grande poliglotta della storia… e non parlava mai per esercitarsi, solo per impressionare la corte e gli ambasciatori.

Quindi… niente più scuse! In alto i cuori e sotto con lo studio! 😉

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