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Onomatopee (2): altri suoni

gorogoroLa volta scorsa abbiamo parlato di 擬声語 giseigo ovvero le onomatopee dei suoni prodotti da persone e animali (giseigo significa parole che imitano la voce).

Il secondo gruppo di cui ci occupiamo è quello dei giongo 擬音語. Come potete notare cambia solo il kanji centrale: qui abbiamo “suono” al posto di “voce” e dunque giongo significa semplicemente parole che imitano i suoni.

Per completezza vi dico che, data la definizione un po’ generica di giongo, c’è chi ritiene i giseigo un sottogruppo dei giongo (perché la voce è comunque un suono) e c’è chi considera i giseigo un gruppo a parte, considerando tra i giongo solo le parole che imitano suoni non animali o umani.

Il terzo gruppo di onomatopee, il mio preferito… è una sorpresa per la prossima volta!

Prima di cominciare vi vorrei ricordare una cosa…

l’argomento non va preso alla leggera, non più del necessario perlomeno: è un argomento interessante e divertente, ma non è affatto secondario. Le onomatopee in giapponese sono molto più usate che in italiano, non vengono usate solo nei fumetti. come potreste pensare, e non sono usate solo dai bambini: fanno parte a pieno titolo del linguaggio quotidiano.

Dal nostro punto di vista sembrerà un modo di esprimersi infantile, ma considerate che in giapponese anche un adulto può dire: “家の前で小さい犬がワンワンと鳴いていた” cioè “davanti a casa un cagnolino faceva bau bau”. Come detto la volta scorsa 鳴く (naku) è il verbo che si usa per dire che un animale sta emettendo il suo verso ma noi avremmo detto semplicemente abbaiava, invece in giapponese è spesso riportato anche il suono tramite l’onomatopea appunto. In fondo è solo un diverso metodo d’esprimere la stessa cosa: forse in giapponese non si è sentita la necessità di creare un verbo per dire “abbaiare”, uno per “miagolare” e così via, quando si poteva semplicemente imitare il suono e aggiungere “to naku”.
Ma lasciamo perdere. La costruzione di una lingua è un fenomeno complesso, le onomatopee giapponesi esistono e tanto ci basta per decidere di studiarle.
E ricordate: preparatevi ad incontrarle spesso!

Le traduzioni possono sembrare innaturali in italiano e risultano quantomeno difficili da fare… ma forse ve ne siete resi conto da soli.

Infine, anche se ora abbiamo visto qualche esempio, le onomatopee possono avere molti significati a seconda del contesto. Come appena detto per gyaagyaa o ancora, ad esempio, per pekopeko, che vale per uno stomaco vuoto, così come per un continuo inchinarsi ossequiosamente. A volte questo altro significato può essere di altra natura, un altro tipo di onomatopea… ma ne riparleremo.

Non mi sono soffermata troppo sulle frasi. Ricordate solo che le onomatopee sono in pratica un avverbio che aggiunge un’informazione o dà enfasi alle cose descritte dalla frase (sarà forse più chiaro dopo che avrete letto anche il terzo post sulle onomatopee). Quel che intendo è che, facendo sempre riferimento alla prima frase: “ho sbattuto la porta con un forte BATAN”, il fatto di aver descritto il rumore non aggiunge molto alla traduzione italiana, no? Tutto sommato bisogna solo imparare a cogliere il senso generico dell’onomatopea, l’intensità del rumore… insomma a cogliere questo tipo di informazioni così come fanno i giapponesi. Poi però molto probabilmente non riporterete la nostra onomatopea nella traduzione, quindi non preoccupatevene… non troppo perlomeno.

A presto… o a quando sarà pronto il prossimo articolo sul tema (in realtà sono io a dover fare mea culpa, poiché è pronto da tempo, ma manca il mio editing – Nota di Kazeatari).

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