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I classificatori numerali e la loro posizione nella frase

Questo post era parte di un altro post che trattava i verbi aru e iru ed i classificatori. Dato che costituisce un approfondimento, ho deciso di postare a parte questo pezzo. E’ bene però che leggiate prima quello, almeno nella parte sui classificatori (punti 95 e 96).

Lo scopo del post è esaminare ancora alcuni punti sull’uso dei classificatori, o meglio sulla loro posizione nella frase. Sono cose che potete studiare per vostro interesse, ve le scrivo solo per completezza. Se state studiando per il JLPT N5, vedete voi se trattarle oppure no (ma se non è così, considerate bene l’idea di studiare quanto leggete qui, perché prima o poi va comunque fatto).

Abbiamo già parlato di posizione aggettivale e posizione avverbiale e abbiamo detto come usare l’una o l’altra forma sposti il focus della frase, cioè ciò su cui poniamo la nostra attenzione. Di solito non abbiamo alcuna differenza, ma possiamo notarla a seconda della domanda che ci viene rivolta (vedi punti 95 e 96).
Concentriamoci un attimo sulla posizione avverbiale. Prima cosa da dire, se ho un complemento che segue il soggetto, questo non andrà ovviamente, tra il soggetto e il classificatore, non devo separare quel che conto dal numero.
Dunque l’unità “oggetto + particella + numero-classificatore” non va separata, ma non deve per forza trovarsi vicino al verbo, un altro complemento (es. il complemento oggetto), può mettersi in mezzo:
今日、学生が180人日本語の試験を受けます。
kyou, gakusei ga hyakuhachijuu-nin nihongo no shiken wo ukemasu.
Oggi, 180 studenti sostengono l'esame di giapponese.
Ma se la coppia numero-classificatore è usata come avverbio, allora può essere spostata nella frase proprio come un avverbio! Così posso dire “kono mondai ni tsuite setsu ga mittsu arimasu” (riguardo a questo problema ci sono tre teorie), ma posso anche dire “mittsu, setsu ga arimasu” (chi di voi ha la grammatica hoepli può confrontare lì, a pagina 230). La posizione più vicina al verbo conferisce sempre maggior “enfasi” in un certo senso, ma non c’è grossa differenza qui, salvo il fatto che questa “alternativa” (es. mittsu, setsu ga) non è affatto comune come l’altra. NB Notate l’opportuno uso della virgola (spesso non la si trova, ma è errore).
Normalmente non posso avere alcuna particella dopo la coppia numero-classificatore, se questa è usata come avverbio, ma ci sono delle eccezioni. La prima è data dalla necessità di coniugare ad esempio due soggetti, presenti in numero diverso. Esaminiamo la frase seguente:
Due insegnanti e quattro studenti sono usciti dalla classe.
 kyoushitsu kara sensei ga futari to seito ga yonin demashita.
Il classificatore non deve nemmeno essere lo stesso, il soggetto poteva essere dato da “kodomo ga futari to neko ga sanbiki“. Incidentalmente, poi, sostituendo nell’esempio sopra “quattro” (yonin) con “molti” (oozei), diviene evidente che la coppia numero-classificatore è usata in modo avverbiale, “…sensei ga futari to seito ga oozei demashita”: come si vede la posizione dell’avverbio e del numero è la stessa.
La seconda eccezione cui accennavo, non è legata alla presenza di una seconda particella dopo numero-classificatore (es. …sensei ga futari to…), ma riguarda uno spostamento della particella che normalmente si trova “al centro” della nostra solita costruzione: oggetto + particella + numaro-classificatore.
In presenza di particelle come に (ni) e で (de) si creerebbero problemi di comprensione della frase, quindi non scrivo oggetto+に/で+numero-classificatore, metto invece la particella alla fine:
tomodachi ni futari atta  tomodachi futari ni atta
(trad.: ho incontrato due amici)
…oppure, banalmente, passo all’uso aggettivale (tomodachi no futari ni atta) ed evito dubbi. C’è da dire però che, a dire il vero, si trova anche la forma con la particella posta nel mezzo (p.e. si trova “tomodachi ni futari”), a meno che non ne nasce un’ambiguità (e con “de” il problema c’è quasi sempre), però “grammaticalmente parlando” è bene evitare questa costruzione (tomodachi ni futari).
Ah, quali particelle? Solo ni e de?In realtà, per quanto poco comune, posso avere questa forma anche con altre particelle, per es. “tomodachi futari ga kita”, ma si incontrano di rado costruzioni del genere, per cui state tranquilli. Ad ogni modo, per sapere se è bene scegliere questa forma, dovrete cercare di capire se con l’altra forma, in presenza della data particella, nel dato contesto della frase, si crea un’ambiguità di significato o no… o fare attenzione a “de” e “ni” e incrociare le dita! 😛

Con l’uso aggettivale dunque viene meno il problema della presenza di date particelle (i.e.: に e で). In compenso bisogna far attenzione a eventuali “doppi sensi” che si vengono a creare passando dall’uso avverbiale a quello aggettivale. Sulla grammatica Hoepli c’è un bell’esempio a proposito:

kodomo no toki, maiban rokupeeji no mukashibanashi wo yonde ita.
Da bambino leggevo ogni sera una fiaba di sei pagine.
kodomo no toki, maiban mukashibanashi wo rokupeeji yonde ita.
Da bambino leggevo ogni sera sei pagine di una fiaba.
Se non fosse chiaro considerate che la seconda forma ha un “uso avverbiale” della coppia numero-classificatore, quindi equivale a “leggevo una fiaba (quanto?) per sei pagine. (poiché “per sei pagine” risponde alla domanda “quanto?”, come farebbero avverbi o locuzioni avverbiali, tipo “tanto” o “a lungo”, dovrebbe esser chiaro perché parlo di un suo “uso avverbiale”, ma se avete dubbi, chiedete e ne parliamo nei commenti qui sotto^^).
D’altra parte, come abbiamo detto, la forma avverbiale fissa la nostra attenzione sul numero, cioè cerca di soddisfare la nostra (presunta) curiosità sulla quantità, mettendo in evidenza (cioè più verso il verbo) l’accoppiata numero-classificatore.
Ovviamente dal nostro esempio (per una coincidenza) viene fuori la possibilità d’un doppio senso passando da una forma all’altra. Ciò accade perché “numero-classificatore + no” non è una quantità nell’esempio (in forma aggettivale ovviamente) sulla fiaba di sei pagine. E’ invece una proprietà (una fiaba – come? – di 6 pagine!). Però il doppio senso ottenuto portando la fiaba alla forma avverbiale, si ha con questo esempio, ma la maggior parte delle volte, molto semplicemente non sarà sensato fare la forma avverbiale…
E’ bene fare un esempio: 100kiro no otoko wo koroshita = ho ucciso un uomo di 100Kg (“di 100Kg” è la proprietà dell’uomo), non potrà mai vedere “100Kg” in posizione avverbiale! Diverrebbe otoko wo 100kiro koroshita, però non ha davvero alcun senso dire “ho ucciso un uomo (quanto?) per 100Kg”, vi pare?
Quando invece “numero-classificatore + no” esprime una quantità e non una proprietà (ve ne accorgete perché nella forma aggettivale la domanda “come?” non ha più senso, mentre stavolta la domanda “quanto?” nella forma avverbiale è perfettamente sensata). Sto parlando ovviamente dei casi “banali”, come ne abbiamo già visti tanti in tutto il post^^ …ad esempio:
3kiro no okome wo kaimashita (ho comprato 3Kg di riso)
…posso passare dall’uso aggettivale all’uso avverbiale tranquillamente; quindi dirò:
okome wo 3kiro kaimashita (ho comprato riso (quanto?) per 3Kg)
…Il perché l’uso sia definito avverbiale spero sia ormai evidente. Così come deve essere evidente il fatto che il significato non è sostanzialmente cambiato passando da un uso all’altro. Ricordate?
Riepiloghiamo un attimo!
Il senso cambiava nell’esempio della favola perché “rokupeeji no” era una qualità, una “proprietà” (una favola, come?, di 6 pagine). Però 3Kg, “san-kiro no”, è una quantità (difatti non posso dire “un riso – come? – di 3Kg”… Non si è mai visto un chicco così! Non può essere una sua qualità!). Questo ci chiarisce in che senso la forma è “avverbiale”.
Differenze di significato, invece? Come detto, quando vado ad esprimere una quantità, non ho nessuna differenza di significato… Ho giusto una sfumatura. Con la forma “3kiro no kome” il focus, l’attenzione è sull’oggetto, come detto, quindi sul riso di cui specifico la quantità (3Kg). Quindi è come se parlassi di uno specifico riso nella quantità di 3Kg… in pratica, quando dico 3kiro no kome wo katta è come se dicessi: c’era del riso, vari chili, ed io di quella quantità di chili, ne ho presi 3 (quegli specifici 3Kg di cui sto parlando).
Se di un’altra differenza si può parlare, è quella che l’uso della forma aggettivale (quella con の) è in gen. più da “libro stampato”, quindi nell’esprimervi di norma scegliete l’altra forma.

Sottintendere il sostantivo ed esprimere solo la quantità
Sottintendere l’oggetto se questo è già stato nominato è possibile. Generalmente viene fatto per creare un contrasto (ho qui due pacchetti, uno per Mario e due per Giada). Si può fare a partire dalla solita forma “num-classif.+の+oggetto”.
Elimino (a) “の+oggetto” oppure elimino (b) solo l’oggetto (の fa da nominalizzante).

Per quanto il secondo caso sia tecnicamente possibile, si usa sempre il primo. NB il “mou” della seconda frase non ha nulla a che fare con questo fatto: quando è seguito da quantità (es. 少し sukoshi, poco, o 1+classificatore) si traduce in genere come “un altro” o “l’altro (di una coppia)”.

Tenete presente che non c’è classificatore per qualunque cosa.

Vi capiterà di trovare la parola che indica l’oggetto numerabile, usata proprio come in italiano. Per esempio: ni-seki ga aite’masu ka = sono liberi due posti? Capita per cose (astratte e non), che possono usare un classificatore generico¹ oppure questa forma (mittsu no setsu ga… = san-setsu ga…). In pratica il sostantivo segue direttamente il numero, in modo che definirei molto banale^^ …e visto che è così banale ne approfitto per fare un esempio e tirare in ballo un’altra cosa interessante (l’ultima), sui numeri espressi in modo approssimato. Anche in questo caso è tutto identico all’italiano! Ad esempio, se dico 二、三日 cioè “ni, san-nichi” intendo lo stesso che con la nostra espressione “2, 3 giorni”. Mentre un poliziotto che si avvicina a un sospetto dice “ni, san hanashi wo kikitai…” (vorrei chiederle due o 3 cosucce…), e così via.

¹ Ricordate che esistono due classificatori generici. Il più usato, つ , segue i numeri da uno a 9, espressi con la numerazione giapponese, il 10 non prende “tsu”, ma è letto “too”, alla giapponese. Volendo continuare per cifre più grandi uso la numerazione cinese e non aggiungo “tsu”. Il secondo classificatore generico 個 (ko) è usato propriamente per indicare oggetti di piccole dimensioni e/o rotondi (delle uova, un pallone… ma anche le stelle!) e poi appunto genericamente (es.: niko no bentou wo tabeta; kaban wo ikko katta).

I classificatori comunque si possono usare davvero in tanti modi. Li riassumo in uno specchietto “definitivo” (n.b.: con particella si intende ad esempio “ga”):

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