Site icon Studiare (da) Giapponese

Viaggi – Naha, Giappone con il cuore

Ho trovato su jappop questo “reportage” che cerca di mostrare la faccia meno nota di Okinawa, andando oltre la solita foto (bellissima, per carità), del rossissimo Shurijou, o oltre le foto, più o meno atipiche degli shisa (come questa, davvero atipica, che linko), delle spiagge tropicali, con tanto di barriera corallina, dei particolarissimi fiori e del gatto di Iriomote, per mostrare una Okinawa sconosciuta, al punto di congiunzione tra… tutto. Tra il Giappone, la Cina e Taiwan, tra l’antico e il moderno, tra la ricchezza e la povertà, tra la bruttezza e la Bellezza in tutto il suo splendore. Eppure conservando la sua identità più profonda, grazie a o per colpa de la sua storia travagliata e della sua lingua, che non si può definire “dialetto” poiché con il Giapponese ha davvero poco a che fare.

Ma ora basta, vi lascio a “Naha, Giappone con il cuore”, di Pietro Scozzari.

Un po’ Napoli, un po’ Honolulu, ma anche Tokyo e Taipei. Prendete i gatti randagi della prima, le camicie a fiori della seconda, il rispetto per le regole della terza e l’Asia in ogni cosa dell’ultima. E, visto che ci siete, aggiungete un po’ di coppole siciliane, di alcol da baretto pulcioso di Goa, di spiagge fantastiche tailandesi e di piatti vagamente messicani.
Frullate il tutto e otterrete un chanpuru, un mix – nella lingua di Okinawa – che può darvi un’idea di Naha, la capitale dell’arcipelago più meridionale del Giappone, anche se non ci siete mai stati. Seguiamo gli ingredienti, con ordine.

Non credo che esista una città giapponese più amica dei gatti di Naha. Qua e là pullulano i cartelli che vietano di sfamarli, ma un esercito di gattare/i sembra infischiarsene e la popolazione felina homeless cresce indisturbata. Il gatto, in Giappone, per alcuni è allergia e peli di troppo, per molti altri è culto.
Nelle grandi città fanno furore i neko café, locali in cui paghi l’entrata, bevi una bibita e accarezzi gatti viziati (a casa le leggi condominiali lo proibiscono). A Naha i migliori-amici-delle-scatolette-di-tonno-aperte-dall’uomo sono alla portata di tutti. Non occorre pagare né entrare in club privati per farseli amici. Qualche negoziante anti-gatto, di notte, circonda le serrande con bottiglie d’acqua in funzione anti-pipì, come nei paesini della Romagna.
Homer Simpson, in una delle sue battute storiche, ha affermato che “le camicie hawaiane le portano i gay o i grassoni simpatici”. Alla seconda categoria appartiene Begin, il più noto cantante locale, maestro dello sanshin – il banjo di Okinawa – e lanciatore della moda delle coppole. Le sue camicie floreali sono diventate uniforme, e i negozi di Kokusai-dori, la via-passerella del centro di Naha, ne vendono a bizzeffe.

Se ve ne foste scordati, e anche se si dice che gli abitanti di Okinawa siano pigri e arrivino sempre in ritardo, no, non vi siete sbagliati: anche Naha è Giappone.

Seppure lontana dal rigido tradizionalismo di Kyoto e dall’iper-produttività di Tokyo, per non parlare dei 1750 km di sicurezza che la separano da Fukushima, Naha è giapponese in tutto e per tutto.
Per rinfrescarvi la memoria, se mai avevate pensato per un momento di essere altrove (magari negli States, con i militari americani in libera uscita il sabato sera), andate dal benzinaio: prima di farvi il pieno si inchinerà davanti al cofano dell’auto. O mangiate qualcosa da Buono Buono Pizza: il pizzaiolo vi darà le bacchette, di forchette non ne ha.

Anche un po’ di Cina – ma guai a chiamare ‘Cina’ la non lontana Taiwan – è presente a Naha. A tavola, nella lingua, nella musica e, soprattutto, fra i molti turisti che vi giungono dall’Isola Formosa che fu. Cina-Giappone, antica storia di odio e amore. Oggi il secondo prevale, e sono sempre più i taiwanesi che prendono un aereo attirati dall’intrigante cultura del Sol Levante.

Delle coppole si è detto. L’alcol locale, l’awamori, il più antico distillato giapponese di origine tailandese è la benzina sciogli-timidezza (a volte anche sciogli-famiglie) che scorre facile, sia nelle bottiglie souvenir di Kokusai-dori, sia nei baracci per uomini soli nei pressi del mercato. Entrarvi, oltre a farci diventare Uomini Veri, varrebbe anche la scrittura di una decina di romanzi, se solo Hemingway fosse ancora vivo.
Terminiamo il menù (in Giappone non solo per i ristoranti, ma anche per parrucchieri e barbieri, evviva il Giappone).

Le spiagge mozzafiato non sono nel centro di questa città da 320mila abitanti, se si eccettua quella di Naminoue. Ma per arrivarci basta poco, un’auto a nolo nell’isola maggiore o un aereo della JTA e un’oretta di volo verso le spettacolari isole minori.

Dulcis in fundo, un pizzico di Messico. Il locale taco rice è ciò che rimane della celebre tortilla centro-americana, importata dai soldati americani. I locali ne hanno preso l’involucro, lo hanno buttato e lo hanno sostituito con il riso. Il champuru è servito. Che aspettate, saltate su un aereo e itadakimas! (buon appetito).

di Pietro Scòzzari

Fonte: ilReporter.com
Le immagini, aggiunte da me, sono prese da Flickr e in licenza Creative Commons

Exit mobile version