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1 settembre 1923 – Il grande terremoto del Kanto

Ecco come appariva la famosa zona di Ginza a Tokyo, dopo il terremoto del 1923

Il 1° settembre 1923 alle 11:58, cioè in questo momento 88 anni fa, un terremoto di magnitudo stimata 7.9 colpì la pianura del Kanto. La scossa durò un’eternità, sembra tra 4 e 10 minuti, e finì per devastare Tokyo, Yokohama, le prefetture vicine (Chiba, Kanagawa, Shizuoka) e nel complesso causò gravi danni in tutta la regione del Kanto (un’area molto vasta che comprende ben 7 prefetture). La violenza del terremoto fu tale che si discusse seriamente la possibilità di spostare la capitale a Himeji o a Keijo, l’odierna Seoul (la Corea era al tempo occupata dalle forze giapponesi).
Le vittime furono tra 100 mila e 142 mila, ma a queste vanno aggiunti i 37 mila dispersi.

Quel che restava di Yokohama dopo la scossa

Gli incendi, da sempre temutissimi in Giappone (dove storicamente si costruiva tutto in legno), specie in caso di terremoti, furono la prima causa di morte. Servirono 3 giorni per spegnerli del tutto e fu possibile farlo solo perché venne loro meno il combustibile: tutto ciò che poteva essere bruciato era ormai stato divorato dalle fiamme. In un singolo incendio morirono 38 mila persone. Radunate a Rikugun Honjo Hifukusho, credevano ormai d’essere in salvo, ma furono investite da un tornado di fuoco (il vento raccoglieva le fiamme e il forte calore generato dagli incendi sopra la città portò alla formazione di tornado simili).

A questo link potete trovare una galleria fotografica per farvi un’idea di ciò che avvenne.

Quello qui di seguito, per concludere, riporto un brano di Paul Claudel, poeta e ambasciatore francese nel Giappone di inizio Novecento. L’ho trovato citato su Biblioteca Giapponese.

I mercanti di crespi e di broccati, la via dei mercanti di ninnoli, Nakadori, con i suoi ammassi di tesori, Nihonbashi, Shimbashi, il quartiere dei ristoranti e delle case eleganti da tè, Kanda, il quartiere delle Scuole, l’Università imperiale, Asakusa, il campo dei divertimenti popolari con il suo Yoshiwara e il suo tempiodi Kwannon, poi, dall’altra parte della Sumida, Riyogoku, la grande arena dei lottatori, e quegli immensi quartieri senza fine dove viveva a fior d’acqua nella risaia appena riempita, nell’aria greve delle esalazioni chimiche, tutto un popolo miserabile e rassegnato, la capanna del paria, il negozio dell’incisore di sigilli, la roulotte del pulitore di pipe, e accanto i grandi teatri, il museo Okura stivato di lacche d’oro e stoffe reali, i ristoranti bellissimi che in fondo al loro tokonoma espongono ogni giorni una pittura differente di Koorin e di Sesshuu, tutto questo è stato spazzato dalle fiamme. E’ il vecchio Giappone che sparisce in un sol colpo per far posto all’avvenire in un olocausto paragonabile alla distruzione di Alarico. Dei tram, in mezzo alle strade, non resta che un ammasso di ferraglie e un groviglio di pali e di fili. Ha spirato un grande alito di fuoco. Anche l’acqua degli stagni si è messa a bollire […]. Ma è a Honjoo, nel quartiere più miserabile della metropoli industriale, che si è trovata preparata la trappola più grande, una vasta piazza vuota in un’antica costruzione per equipaggiamento militare dove trentamila disgraziati avevano cercato riparo. Il fuoco li ha circondati da tutte le parti, sono morti. L’acqua nera e stagnante intorno a loro è coperta da uno strato di grasso umano. Sopra, in un piccolo commissariato di polizia in un edificio in cemento armato, si vedono cinqua cadaveri ripiegati su se stessi. Sono gli agenti che si sono lasciati bruciare sul posto piuttosto che abbandonare il proprio ufficio.

(Paul Claudel, L’uccello nero del Sol Levante)
La zona tra Nihonbashi (di fronte alla stazione di Tokyo) e Kanda (vicino ad Akihabara)
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