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C’è machi 街 e machi 町 – Gli omofoni

machi e machi_cropAvendo notato un po’ di confusione su un altro blog, che va da aggiungersi a una vecchia domanda di Tenshi di tempo fa, ho pensato fosse bene fare un po’ di chiarezza su questi due termini… o meglio prenderli ad esempio ed introdurre, almeno per oggi, una classe di vocaboli, particolarmente insidiosa.

Se studiate giapponese sapete già che esistono degli “omofoni”, cioè vocaboli con lo stesso (omo) suono (fono), così come accade in italiano. Ad esempio il verbo “attaccare” significa sia aggredire, assaltare, ecc. sia appiccicare, incollare, ecc., no?
Similmente in giapponese ho delle parole che pronuncio allo stesso modo (o perlomeno le scrivo allo stesso modo!), ma hanno significato diverso.

Per chiarezza vediamo la parola kami. Solo pronunciarla non mi dice molto, perché può essere scritta con kanji diversi e se di punto in bianco vi dicessi solo “kami”, vi dovreste chiedere di cosa cavolo parlo. Difatti “kami” può significare 5 cose almeno (mi limito alle pronunce kun’yomi), ovvero:
神 (divinità), 髪 (capelli), 紙 (carta), 上 (parte superiore), 噛み (morso/il mordere)

Spesse volte non c’è grossa confusione: da un lato è difficile confondere, in un preciso contesto, la parola “divinità” con “carta” o “morso”, no? Dall’altro lato posso avere una diversa pronuncia della parola. Attenzione però, sebbene la semplificazione è una grossa tentazione, questa differenza nella pronuncia non è dettata dagli accenti come capita con l’italiano (ad es.: “circùito di Monza” e “sono stato circuìto da un criminale” sono concetti ben distinti, anche grazie agli accenti): è dettata invece dai toni.

Certo, è facile distinguere nel caso dell’usatissimo esempio 酒 sake (bevanda alcolica) e 鮭 sake (salmone)…

D’altronde basta dire che il primo ha l’accento sulla “e” ed il secondo ha l’accento sulla “a”. Tuttavia questo modo di fare entra in crisi quando trovo tre parole con due sillabe, come nel caso di hashi, 箸 (bacchette), 橋 (ponte), 端 (bordo, lato): in questo caso senza parlare di toni non si va da nessuna parte… ma non ve ne parlo, perché è un discorso complesso (e relativamente inutile se vi dedicate a sufficienza all’ascolto) che lasciamo per un’altra occasione.

Oggi guarderemo invece a una “sottoclasse”(?) di omofoni. Non c’è termine che li definisca, anche se spesso si parla di 異字同訓 ijidoukun (cioè “diverso carattere, stessa pronuncia kun’yomi”), questa definizione comprende anche kami e sake, eppure di norma questi (ed altri) sono esclusi, per concentrarsi solo su quelli che interessano davvero.

Quali omofoni ci interessano? Quelli il cui significato è affine, che esprimono sfumature dello stesso concetto (senza variare nella pronuncia/nei toni)… in genere i dizionari li presentano sotto lo stesso lemma. Trovate あく 【開く・空く・明く】, aku, e dalle definizioni che seguono ne potete capire le sfumature di senso, “rese graficamente” scegliendo un modo di scrivere la parola invece di un altro. Invece あく 【飽く】, aku, (se lo trovate) è scritto a parte, cioè è un diverso lemma.

Facendo un altro esempio preso dall’italiano, possiamo notare che, se “attaccare” (=assalire) e “attaccare” (=appiccicare) sono due lemmi diversi, tra le sfumature del verbo “assalire” ritroviamo sia frasi come “l’esercito intero assalì il nemico in un lampo”, sia “la donna è stata assalita in un vicolo isolato, a tarda ora”.

Per una coincidenza (non è certo una coincidenza, però, il fatto che l’abbia citato), anche il verbo giapponese おかす, okasu – il cui senso è più vicino a “violare” che non ad “assalire” (ma una corrispondenza precisa è proprio impossibile, significa anche “commettere” se il complemento oggetto è un crimine) – si comporta in modo molto simile, a seconda che lo si scriva con il kanji di invasione (e quindi violare il territorio altrui) o con il kanji di crimine, a significare aggredire, violare (la legge o una donna), commettere (un crimine).
Per semplificare possiamo pensare a okasu come significasse in modo generico “aggredire/violare” e poi ricordarci che, se chi subisce l’aggressione è una nazione, allora va usato il kanji 侵 di invasione, mentre se si tratta di un uomo ucciso o d’una donna assalita, va usato il kanji 犯 di crimine.

Con il nostro machi di inizio post ci troviamo nella stessa situazione del primo “aku” e di “okasu”. La parola è una, i sensi possibili sono due. Evidentemente la lingua orale giapponese un tempo non aveva necessità di distinguere tra i due (in questo caso) diversi concetti, ma col passare del tempo, e l’introduzione dei due kanji nella scrittura nipponica, deve aver preso piede il fascino del rendere solo in forma scritta qualcosa che alla parola, nella lingua parlata, sfuggiva.

Anche se l’idea di applicare questo concetto ai kanji in esame è solo una mia idea, avuta sul momento, il concetto in sé è valido in generale!
A tutt’oggi capita che per scelta stilistica si imponga una pronuncia alla parola, ma si usi un kanji che non ha quella pronuncia, solo per comunicare un’idea di fondo leggermente diversa, più precisa, poetica, ecc.

Ad esempio si trova spesso “ano hito” (quella persona) scritto あの女, ma con il furigana per ひと “hito” sopra al kanji 女 di “onna”, cioè “donna”… il kanji non ha la pronuncia “hito”, ma viene messa perché chi parla dice “persona”, hito (termine certamente più cortese), ma l’autore decide di specificare al lettore che chi parla intende riferirsi a una donna.
Incidentalmente anche nell’immagine sopra, quella del salmone, si applica un kanji diverso da quello della parola corretta, così come viene pronunciata (叫びだし sakebidashi). Lì però si gioca sulla pronuncia uguale (sul sake- di sakebi) e per una scelta stilis… ehm, in pratica solo per fare una battuta, si usa il kanji di sake (la bevanda), in modo da mandare un messaggio ai clienti (che quel salmone è perfetto col sake).

Ad ogni modo, a prescindere dal motivo per cui si è arrivati a ciò, oggigiorno la parola まち machi può essere scritta in due modi: 街 e 町.

…e (siccome l’articolo si è fatto troppo lungo) la prossima volta parleremo in dettaglio dei due kanji in questione ^___^;;;;

じゃねえ

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