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Alcune delle tante facce del Giappone (prima parte)

Lacrime, lolite e deliri di massa

Abbiamo appena letto l’articolo di Karusama su Minami Minegishi e le vicende che l’hanno vista recentemente protagonista, ma Karu ha scritto l’articolo una decina di giorni fa (il ritardo è colpa della mia trasferta olandese, come saprete), così volevo approfittare per “aggiornarvi” e provare a spiegare (non giustificare, eh) quel che sta succedendo, da dove nascono certi comportamenti per noi fuori dal mondo.

Considerate che se avrete la pazienza di leggere questo articolo penso che lo troverete – sorprendentemente – molto interessante (uno dei migliori che ho scritto, direi). Partiremo dal fatto di cronaca come spunto, ma finiremo a parlare di molto altro (idol, tagli di capelli, bonzi, lacrime, tsunami, kawaii, akogare, amae…), vedrete, ce n’è per tutti i gusti. Purtroppo però è venuto molto lungo e lo pubblicherò in tre parti nei prossimi giorni.

Ma veniamo subito a noi…

Voglio premettere che sono d’accordo con Karu: l’immagine della donna da cui questi comportamenti nascono (e che questi comportamenti contribuiscono ad alimentare) e l’idea di femminilità e dell’ “essere donna” che, così facendo, la società inculca nella testa delle bambine (e dei bambini) risultano estremamente lesive della dignità delle donne di oggi e di domani (poiché i bambini crescono con questi modelli). Su questo punto, come notava Karu, si rinnova la strana vicinanza tra Italia e Giappone, paesi spesso molto più vicini, sotto certi aspetti… perlomeno più di quanto si possa pensare.

I FATTI

I fatti non ci interessano poi molto, ma, ecco, non sono chiari. Simili scandali si sono già visti, in genere si nega tutto. Non si poteva dire “è un amico, sono solo andata a trovarlo, c’erano altre persone”?.
Dopodiché in genere qualche fan si arrabbia e brucia la sua collezione di gadget e CD, altri fan passano al crimine e scrivono lettere minatorie o pubblicano su internet velate minacce di morte (stile “foto con coltello piantato sopra”, diciamo).

La questione è “perché questo video?”. È stata un’idea autonoma o ci è stata costretta? Sembrerebbe si tratti di un’idea autonoma, perché la sua “retrocessione” è stata decisa (pare) dopo il video e quindi, forse, non per la pubblicazione delle foto “compromettenti”, ma per la brutta situazione in cui l’agenzia delle AKB48 si è ritrovata in seguito alle critiche che le sono piovute addosso (in Giappone si suol dire che “per una ragazza i capelli sono la sua vita”, per indicarne l’importanza cruciale).

Sì, perché, è bene tenerlo presente, ci sono state davvero molte critiche… quelle rivolte all’agenzia perché pareva aver costretto la ragazza o perché comunque l’aveva punita o perché a prescindere non avrebbe dovuto imporre l’insensata regola. Dall’estero le critiche si sono spostate dall’agenzia al Giappone, ma sono rimaste le stesse… e questo ha portato a varie critiche… alla ragazza! Perché con la sua “alzata di testa”, e perdonate il gioco di parole, aveva dato una brutta immagine del Giappone, dando l’idea che simili punizioni siano normali lì.

In seguito a queste critiche sono uscite delle altre foto, una la vedete qui sopra, dove presumibilmente le altre ragazze del gruppo AKB48 consolano e sostengono la Minegishi in questo momento difficile. Sembrerebbe evidente che la loro pubblicazione (ufficialmente “non ufficiale”, cioè non decisa dall’agenzia) sia stata decisa apposta per smorzare i toni, per dire “ehi, non è successo poi nulla di grave, vedete? E’ felice e serena, no?”.

E tuttavia sono nate altre critiche! Quasi ci fosse un’intenzione malevola, quella di screditare il Giappone(!), da parte della Minegishi, che in realtà non era affatto dispiaciuta, evidentemente, per nessuna delle sue colpe… Lo so, sembra assurdo, ma ho letto simili critiche.

Insomma, da quel che appare sembra di capire solo una cosa: qualunque cosa faccia questa ragazza, viene bersagliata da critiche. E questo è ingiusto, stop.

L’unica plausibile critica è “hai firmato un contratto, lo devi rispettare”. Non serve arrivare a quel che si dice in Occidente ai personaggi pubblici, e cioè che la perdita della privacy è “il prezzo della fama”, qui la questione è più semplice: c’era un contratto e come tale un contratto vincola nel pubblico e nel privato.
Se posso dire, tra l’altro, vengono obbligate a ben di peggio che all’astinenza (sì, dico davvero)… Per convincersene basti vedere le strategie di marketing e i lavori che il management sceglie per loro...

Comunque, se il contratto le pareva ingiusto (come in effetti è) poteva non firmarlo, si dirà, ma è pur vero che queste ragazze aspiranti “idol”, anzi アイドル (letteralmente “idoli”) probabilmente più che ai soldi aspirano alla figura stessa di “idol” perché a loro volta sono cresciute idolatrando altri “idoli”, perché bombardate da messaggi niente affatto subliminali su quali siano i “modelli positivi cui aspirare” (da noi è Corona, a ciascuno il suo) …e allora diventa quasi una scelta obbligata in cui si sceglie di diventare idoli senza badare a cosa si firma e prima di rendersi conto di che cosa si perderà.

Ma non vorrei dar loro troppo (poco?) credito, né fare la figura di quello che dice nanimokamo seiji/shakai no sei (何もかも政治のせい/社会のせい è tutto colpa della politica/società) e magari in realtà vale anche qui, molto semplicemente, quello che diceva Ennio Flaiano del mestiere di giornalista… “sempre meglio che lavorare”.

IL VIDEO

Il video incriminato, come detto, è alquanto insolito (chi l’ha voluto? Lei sola? L’agenzia? O è una “mossa” decisa tra le AKB come protesta?).
Poi, e sia chiaro che lo dico senza alcun intento provocatorio, andrà probabilmente a beneficio della Minegishi. O perlomeno potrebbe essere che sia stato fatto con queste intenzioni.
Si può infatti pensare (o si poteva farlo prima delle tante critiche ricevute) che un simile video avrebbe messo al riparo Minami dall’espulsione dalle AKB e dalle imprevedibili reazioni dei fan. Perché è lecito pensarlo?

In Giappone, come vi accennavo, i capelli sono di grande importanza, specie per una ragazza (visto il detto di cui sopra), ma non è per questo che si tratta di un gesto di pentimento.
La testa rasata così come la vedete nel video è detta 坊主頭 “bouzu atama”, “testa da bonzo” (i.e. da giovane monaco), il taglio è detto “bouzu-gari”, “taglio da bonzo”… per il semplice motivo che scegliendo la vita monastica chiunque si doveva radere la testa (un segno d’abbandono della mondanità e dei desideri terreni?) ed era abbastanza normale che le uniche vie d’uscita per espiare una colpa o un’onta fossero il suicidio rituale, seppuku, o tutt’al più, per l’appunto, la vita monastica (ovviamente qui parliamo della casta dei samurai, non di persone del popolo).

Ad ogni modo farsi monaci significava cambiare vita e quest’idea è rimasta e ancora si notava negli anime di qualche anno fa, dove in seguito a una delusione amorosa o per indicare un diverso spirito con cui si affronta una nuova pagina della propria vita, il/la protagonista si sottopone a un cambiamento radicale di pettinatura, ritrovandosi con capelli perlomeno molto, molto corti… non rasati però, perché ormai da parecchio tempo avere una bouzu-atama risulta assai imbarazzante. Tuttavia, piccola curiosità, fino agli anni ’70-’80 era un popolare taglio da ragazzino (e questo lo rende oggi ancor più imbarazzante), se posso azzardare un’ipotesi (pensando alle difficili condizioni del Giappone del dopoguerra), probabilmente per scongiurare i pidocchi.

Secondo fattore del video è il pianto: in Giappone “chi si pente in lacrime è a metà dell’opera”. Non molto tempo fa la Toyota ritirò dal mercato milioni d’automobili e il presidente della compagnia andò in tv a chinare il capo e piangere.
Il perché è per noi incomprensibile: non è colpa sua ma di qualche ingegnere, non ci sono stati incidenti, quindi…?
Ricordo un commento d’un giapponese che diceva che un pianto al momento gusto dimezza la pena di ogni condannato. Presumibilmente non è vero, ma è vero che molto spesso un processo si chiude con il criminale che si scusa.
In un paese che si basa molto sulla forma non appare strano che a chiudere un processo, uno scandalo o, non so, un contenzioso, siano delle scuse pubbliche più che un verdetto di un giudice.
In un certo senso le scuse non servono a chiedere/ottenere un perdono ma a chiudere il problema, calmare la situazione… e chi si è scusato inevitabilmente verrà visto un po’ meglio, se non altro dall’opinione pubblica, perché ha comunque posto fine al clamore, alla situazione problematica irrisolta, assumendosi la responsabilità… 一件落着 ikkenracchaku come dicono in Giappone (i.e. “E un problema è finalmente risolto!”).

So, che è un po’ difficile da credere, ma un buon esempio lo abbiamo avuto tempo fa, dopo lo tsunami del 2011. Un insegnante abbandonò gli allievi e si mise in salvo da solo (senza dire nulla e senza perder tempo, per chi l’accusa, o dopo aver provato, a suo dire, a convincere gli altri insegnanti a salire più in alto lungo la montagna dove si trovavano). Non ammise davvero alcuna colpa (penale), non disse mai nulla di incriminante, diede velatamente la colpa agli altri insegnanti (morti) semmai, ma andò comunque a scusarsi in lacrime davanti alle telecamere e ai genitori per non essere riuscito a salvare i loro figli. Perché se con la versione che offriva il linciaggio sarebbe dovuta essere la conseguenza naturale?

Il lato “comico” dietro tutte queste lacrime giapponesi è che il pianto “privato” è quasi un tabù, in pubblico, poi, è ancor più grave perché “uccide l’armonia” (noi parleremmo di “atmosfera”^^). Se pensate di nuovo al dopo-tsunami e al precedente tsunami che devastò il sud-est asiatico, trovate un tratto comune.
Le persone che raccontavano nei documentari coprivano le lacrime con mezzi sorrisi. Ho visto un documentario dove si raccontava come una madre avesse cercato per mesi la figlia, prendendo la licenza per usare una ruspa e continuando a scavare quando non poteva più pretendere che lo facessero gli uomini della protezione civile. Per mesi. Poi sua figlia fu ritrovata in mare, dodici chilometri più a sud lungo la costa… dopo un anno in mare ne era rimasto solo il torso. Onestamente non riesco a immaginare nulla di più orribile e crudele di questo destino. Ma lei raccontava tutto ciò con mezzi sorrisi d’imbarazzo, appunto… e non erano certo, come sostenevano alcuni giornalisti in tv, “sorrisi che dimostravano il grande stoicismo e capacità d’accettazione degli orientali”.

Le lacrime sono un fatto estremamente privato, qualcosa che perciò ci si vergogna a mostrare… a meno che siano “dovute al pubblico”. Se è alla comunità che si devono le scuse, allora “lacrime a dirotto, please!”.

I FAN e LE LOLITE

La spiegazione facile che chiunque ha pensato vedendo questi ragazzi, a volte uomini fatti, sbavare dietro a ragazzine tra i 13 e i 25 anni (ma di norma liceali) è semplice da immaginare: sono frustrati a cui nessuna la darebbe mai. Errore. Cioè, spesso è vero, ma le due cose non sono direttamente connesse.

Tanto per cominciare, come già notava Karu nell’articolo sulla Minegishi, le AKB48 sono il gruppo più seguito della scena musicale giapponese. Si può assumere che la loro base di fan sia così composta:

● ragazzine che si immedesimano… o meglio aspirano ad una data “figura di successo”, che diviene il sogno di ciascuna perché l’età è compatibile con la loro e perché le AKB48 sono un gruppo enorme di ragazze scelte tramite selezione (e ciò dà l’idea di poterne farne parte anche se è un sogno assurdo simile a quello di vincere la lotteria).

● ragazzi più grandi, quelli definiti frustrati poco più su, detti ヲタ/ヲタク wota/wotaku (letto sempre otaku, ma così scritto fa intendere che si tratta di “otaku di idol”).

Se la questione delle fan ragazzine è abbastanza semplice, molto interessante è quella dei ragazzi/uomini fan delle AKB e di gruppi similari. Questi non vedono di norma queste ragazzine come oggetto sessuale (spesso si dice lolite, e quello è l’aspetto, ma l’età varia moltissimo in modo da “coprire ogni fascia di mercato”).
La riprova è semplice… l’immagine che le ragazze devono avere è del tutto opposta.

È importante capire questo o si finirebbe a pensare che in Giappone ci sono molioni di pedofili in libertà. Certo, ci sono le dovute eccezioni. È capitato alcune volte infatti che un fan si presentasse ad una sessione di 握手 akushu (eventi in cui i fan si mettono in coda per dare la mano alle loro beniamine), con la mano presumibilmente coperta del proprio sperma…

Se avete finito di vomitare possiamo andare avanti. Come dicevo di norma non sono viste come oggetto sessuale, ma questo non significa che non ci sia dietro una brama di possesso. アイドルはみんなのもの aidoru wa minna no mono, un/a idol appartiene a tutti.

Se possiamo associare le riviste scandalistiche e di gossip ad un fenomeno di voyeurismo collettivo, possiamo anche dire che l’adorazione che i fan hanno per le idol rappresenta un fenomeno di stalking collettivo.
Per questo un idol non può fidanzarsi: non c’è nulla che fa imbestialire uno stalker come un/a fidanzato/a che arriva sulla scena a rovinare le sue fantasie.

Ma perché questi fan hanno come IDOLO “ragazzine carine, giovani e pure”?

Con i prossimi due post proveremo a spiegarlo. Nel prossimo, come “premessa” tratteremo il concetto di kawaii per capire come mai in Giappone tutto deve essere “carino”. Nell’ultimo articolo invece tratteremo i concetti di amae e akogare e come questi si realizzano, nel bene e nel male, nella società giapponese.

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