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Vocaboli – Wakaru, wakaru…

A partire da un precedente commento e da un’interessante domanda di Flavio (che vi consiglio di leggere perché “di più ampio respiro”), mi sono reso conto che val la pena soffermarsi su questo argomento molto frainteso.

Quando uno studente sente dire che wakaru significa capire e shiru significa sapere, è fatta, sente di aver tutte le carte in mano per esprimersi come vuole. Le cose non sono affatto così semplici però.

Partiamo da wakaru e vedremo “shiru” (anche a confronto con wakaru) in futuro.

Il senso di 分かる wakaru

Un primo fatto da annotarsi e non scordare più è che wakaru non significa capire, ma essere compreso/comprensibile. Esagero (la traduzione è sempre libera), ma lo faccio per spiegare un fatto molto importante: il soggetto di wakaru non è chi capisce ma la cosa capita.

は本当に分からないよ。
Ore ni wa hontou ni wakaranai yo
Io proprio non capisco!

Come notate nella frase sopra “io” (ovvero sia “ore”) è seguito dalla particella “ni” e quindi non è soggetto della frase (che letteralmente potremmo tradurre “Mi è proprio incomprensibile”). Il soggetto italiano del verbo “capire” in giapponese diventa un complemento (quindi qualcosa tipo “Per me XXXX ga comprensibile”)

Se decidessimo di creare una frase inserendo il soggetto, cioè la cosa compresa, allora useremo la particella “ga” del soggetto.

やっとこの言葉の意味分かった。
yatto kono kotoba no imi ga wakatta
Ho finalmente capito il senso di questa parola.

Il tempo di 分かる wakaru

Il secondo punto da chiarire è l’uso dei tempi. Quando uso wakaru, quando wakatta e quando uso wakatte iru? La chiave sta ovviamente in quel che implicano questi tempi per questo verbo che, come detto al paragrafo prima, non è esattamente quel che si pensa.

Possiamo vedere wakaru in due modi. Possiamo dire che rappresenta uno stato (se pensiamo che significa a conti fatti “essere comprensibile”), o possiamo dire che implica un’azione istantanea (se lo associamo all’idea di “capire”). Dunque se lo vediamo come un “verbo di stato”, non è un’azione e quindi non ha una durata, se lo vediamo come “verbo istantaneo”, avviene in un singolo attimo e di nuovo non ha una durata. Questo vuol dire in pratica che kaku (scrivere) alla forma in -te+iru (kaite iru) significa “sto scrivendo”, ma lo stesso NON è vero per “wakaru” e quindi “wakatte iru” non significa “sto capendo”.

Prima di proseguire però forse è il caso di aprire una parentesi…

I verbi istantanei

I verbi istantanei hanno la caratteristica di non esprimere quel che spesso chiamiamo “presente progressivo” quando sono nella forma -te+iru, bensì uno stato attuale, risultato di un’azione ormai compiuta.

Prendiamo ad esempio “kekkon suru”. Significa “sposarsi”, quindi “kyou kekkon suru” vorrà dire “oggi mi sposo”. Se però dico “kekkon shite iru”, alla forma in -te+iru, non intenderò “mi sto sposando”, bensì “sono sposato”. Non c’è quindi un’azione in corso al presente… Nessuno si sta sposando al momento, l’azione “sposarsi” potrebbe essere avvenuta 10 anni fa, mentre “kekkon shite iru”, cioè “sono sposato” è solo lo stato, la condizione in cui mi trovo (quella di “uomo sposato”).

分かっている wakatte iru VS 分かった wakatta

Wakatta è la forma passata di wakaru. In quanto tale “wakatta” esprime un’azione compiuta. Wakaru è un verbo di stato, ma particolare. I verbi di stato infatti di norma non hanno forma in -te iru: wakaru ha la forma in -te+iru di wakaru e, come per i verbi istantanei, anche la sua forma in -te iru esprime uno STATO… quindi “wakatte iru” è uno stato, la condizione in cui ci si trova come risultato di un’azione compiuta.

Cosa cambia? Poco… o moltissimo, dipende dai punti di vista.

Non voglio creare interi dialoghi quindi seguitemi nel ragionamento mentre creo solo un po’ di contesto. Poniamo che qualcuno mi dica qualcosa su come fare un certo compito o come comportarmi in una data situazione. Che differenza passa tra rispondere “wakatta” e rispondere “wakatte iru”?

Nel primo caso quanto mi è stato detto “è stato compreso” (wakatta); ho una semplice azione compiuta e quindi sto intendendo “ricevuto, grazie per l’informazione, ho capito cosa è il caso di fare”.

Nel secondo caso mi trovo già nella condizione di “comprensione”. L’azione “comprendere” è stata compiuta in passato e ora sono in uno stato che è il risultato di quell’azione ormai terminata… Parole astratte (e un po’ astruse) per dire che wakatte iru significa qui “Lo so (già) …e quindi non c’è bisogno che me lo dici”.

Ecco dunque che rischio si corre a confondere i due tempi: il rischio di indispettire chi ci sta facendo un favore.

Questo senza considerare che anche il semplice wakatta, o meglio il cortese wakarimashita, non sono innocui come sembrano! Ad esempio ad un’insegnante, o comunque a qualcuno cui si deve rispetto, non è proprio il caso di dire “wakarimashita” (a meno che si riceva un ordine!). L’idea di fondo è che rispondendo “wakarimashita” (ho capito) quando si riceve una spiegazione, si taglia corto il discorso, come se si volesse zittire l’altra persona. Ecco perché in giapponese si usa tanto spesso “sou desu ka” (lett. “ah, (le cose) stanno così…?”, ma alla fine della fiera suona come “Capisco…”) e soprattutto si ripete l’informazione o la spiegazione data dall’interlocutore: si vuole dimostrare di aver capito senza “troncare” la discussione.

分かる alla forma base: “Wakaru, wakaru…”

Mah… Allora quando uso wakaru? In situazioni come quella appena vista, in cui voglio rispondere con il solo verbo wakaru (al tempo opportuno), l’uso di wakaru al presente è, a ben vedere, estremamente particolare.

Nel caso dei verbi istantanei la forma del dizionario (es. kekkon suru, wakaru…) ha il ruolo di futuro (es. “mi sposerò fra 6 mesi”) o futuro immediato (es. “domani mi sposo”).

Wakaru però, come dicevamo, è un verbo “particolare”.

Se uno mi dice volete “Non me la sento di chiamare Geltrude visto come ci siamo lasciati…” potrò rispondere “sou desu ka”, che suona come il nostro “Capisco…”. Oppure “sou desu ne”, cioè “Eh, sì, (ha senso)…

Se un dipendente mi dice che sta male e non viene a lavoro potrò dire wakatta/wakarimashita (Ho capito = “ricevuto”), o anche “sou desu ka, wakarimashita (ecc.)”, che suona come “Oh, capisco, va bene…”

Se il datore di lavoro mi dice “Tizio-san non è venuto, siamo in difficoltà, potresti venire a fare un turno per coprirlo?”, per dire “Capisco/Ho capito, arrivo subito” dirò “Hai, wakarimashita, sugu mise he ikimasu” (sempre se voglio tenermi il lavoro).

Ma allora quando uso “wakaru”, al presente…?

Wakaru ha un uso molto interessante, essenzialmente legato al sentimento, o meglio alla comprensione di questo. Dunque se qualcuno mi dice di una situazione frustrante o di come provi nostalgia di casa o di quanto siano carini i gatti quando si prova a fargli il bagno e si ribellano… Posso rispondere Wakaru, wakaru… come a dire che Capisco che si provi, o che Mi rendo ben conto di che significhi… o in sostanza che sono d’accordo con quanto dice (o meglio che provo la stessa cosa).

Quindi in breve…

  1. wakatta → Ho capito. / Ricevuto.
  2. wakatte iru → Lo so (già) / Non serve che tu me lo ripeta (specie “wakatte iru tte”, cioè “Lo so già, ti dico!”)
  3. wakaru, wakaru… → So bene che vuoi dire (provo anch’io lo stessa cosa)…

Ovviamente c’è altro da dire, potremmo parlare della sua forma negativa, fare un paragone con 知る shiru, e anche qui parlare della sua forma negativa, ma è decisamente troppo per un singolo articolo, meglio fermarsi qui. Alla prossima!

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