Cerchiamo di fare un secondo passo, complicando un po’ la frase già vista…
watashi wa gakusei desu.
わたしは がくせいです。
- わ たし , in kanji 私 , significa “io”. In questo contesto è sicuramente una ragazza a usarlo: uno studente non userebbe mai watashi, anche se un uomo in contesti formali potrebbe usarlo.
- わたしは è trascritto “watashi WA” (non “ha”). Perché? Perché quando il kana は è “particella del tema” si pronuncia così. Con “particella del tema” si intende la “post-posizione” (posposizione) che ci dice che quel che c’è prima è il tema della frase, l’argomento. Non è una questione grammaticale, è più “logica”, di senso: “adesso parliamo di questa cosa (p.e. watashi, cioè “io/me”)” ecco cosa ci dice la particella tematica. Spesso si può “mentalmente” tradurre come “Riguardo a…” (anche se poi una buona traduzione dev’essere più libera e non ripetere continuamente “Riguardo a…” o “Per quel che riguarda…” ecc.
- です desu, lo abbiamo già visto, è il verbo essere, che non varia mai (!!!), cioè prescinde dal soggetto (per numero o genere). Si pronuncia sempre “des-“.
- が くせいです , in kanji sarà 学生です …sono due parole, l’avrete capito visto che “desu” è il verbo essere. がくせい significa “studente/ssa”: non solo i verbi, anche i sostantivi, in generale, sono indifferenti al genere e al numero (cioè non si cambia la parte finale della parola per fare il femminile o il plurale). がくせい (gakusei) si pronuncia gak-see. La “sparizione” della U (qui compresa tra due consonanti sorde, k e s) è già stata trattata, quindi ora notate un altro fatto (che rivedremo nel prossimo post): un kana col suono E, seguito dal kana い (i), non ha il suono EI, ma EE, una “E lunga”.
La traduzione della nostra frase sarà quindi “io sono una studentessa“.
- Come vedete “una” lo aggiungiamo noi. Perché? Perché… Il giapponese non ha gli articoli né indeterminativi (un, uno, una, dei, degli, delle), né determinativi (il, lo, la, i, gli, le).
- Ricordiamoci poi che, anche se non lo tradurremmo mai così (sarebbe troppo brutto), non sarebbe “io sono una studentessa“, ma “Per quel che riguarda me, sono una studentessa“.
L’espressione “sono una studentessa” è detta predicato nominale, come credo sappiate, e “sono”, il verbo essere è detto copula. “Sono una studentessa”, “sono operaio”, “sono bello”, “è rossa”… sono tutti predicati nominali in italiano. Per comodità in giapponese distingueremo tra predicati nominali (“sono una studentessa”, “sono operaio”…) e predicati aggettivali (“sono bello”, “è rossa”…) che affronteremo un’altra volta, dopo aver trattato gli aggettivi.
Un “altro” verbo essere che dobbiamo escludere dal nostro discorso è quello che vuol dire “esserci” o “trovarsi”: se dico “sono in cucina” uso un verbo essere concettualmente molto diverso da quello di “sono Antonio”. In un predicato nominale dico chi, cosa o come, io, qualcuno o qualcosa, sono o è. Cioè p.e. “chi sono” (sono Agilulfo), “cosa sono” (sono un insegnante), “come sono” (sono un buontempone)… e sciocchezze del genere. Discorso del tutto diverso ho, se io/qualcuno/qualcosa mi trovo/si trova da qualche parte… anche se potrei usare il verbo essere (sono/è da qualche parte). Anche se noi non distinguiamo, ciò non significa che altre lingue non sottolineino questa differenza; il giapponese lo fa, usa un altro verbo per indicare l’essere in un luogo, distinguendo il verbo essere (copula), desu, dal verbo essere (in un luogo), esserci/trovarsi che è reso, lo vedremo poi, con i verbi iru e aru.
Per oggi mi fermo qui…
Mata nee! (Alla prossima!)