Tra Ottobre e Novembre i genitori giapponesi portano i figli nei templi shintoisti per la tradizionale celebrazione di shichi-go-san (cioè 7-5-3), una cerimonia durante la quale “presentano il bambino/a” al kami protettore della zona in cui vivono, cioè 氏神 l’ujigami (kami con un nome/lignaggio), un tipo di divinità scintoista assimilabile al nostro “Santo patrono”, protettore di una particolare (spesso ristretta) area che “abita” nel tempio (principale) della zona in questione, proteggendo la zona e i suoi abitanti (spesso si dice abbia fondato il primo villaggio della zona o cose simili). Dunque portare il bambino al tempio ha sia il senso di “presentarlo alla divinità”, sia di auspicare che viva in buona salute, protetto dalla divinità (in pratica equivale al battesimo).
Molto semplicemente perché questi sono gli anni nella vita di un bambino/a, in cui si celebra questa specie di rito di passaggio.
A 5 anni, poi, i bambini maschi indossavano per la prima volta l’hakama, il tradizionale abito maschile, in una “cerimonia” detta 袴着 hakamagi (indossare l’hakama).
Una bambina di 7 anni, invece, indossava per la prima volta un obi per chiudere il suo kimono (invece d’una cintura annodata, iniziava ad usare un’ampia e lunghissima fascia annodata in un modo molto complesso, l’obi, appunto). Anche questo era un “rito di passaggio” e viene in genere detto 帯解 obi-toki e 紐落 himo-otoshi (sciogliere/levare la cintura).
Un tempo i giapponesi contavano gli anni secondo un metodo tradizionale (kazoedoshi) per cui un bambino appena nato aveva un anno e ne compiva 2 anni al primo Capodanno successivo alla sua nascita (dunque si poteva avere 2 giorni di vita, ma ufficialmente già 2 anni). Le aspettative di vita erano molto basse, si diceva 七歳まで神のうち nanasai made, kami no uchi, che tradotto sarebbe “fino a 7 anni si è nelle mani della divinità”. Forse, dunque, c’era una gran fretta di vedere il proprio figlioletto che superava la fatidica età? Purtroppo non so dirvi di più, né nulla di davvero preciso… A dire il vero ci sarebbero anche alcuni aspetti bui, legati a questo fatto e a questo detto, ma preferisco non approfondire.
Quando si celebra lo shichi-go-san? Il 15 novembre… almeno ufficialmente. Infatti non si tratta d’una festività nazionale, così la gente tende a festeggiare nel weekend precedente o successivo al 15, ma nel complesso è normale che si vada al tempio in un qualunque giorno tra ottobre e novembre, a seconda delle “esigenze” di tutta la famiglia.
L’origine della festa invece è un discorso un po’ a parte. Durante il periodo Heian (dal 794 al 1185 d.C.) i nobili celebravano la (sana) crescita dei loro figli in un giorno fortunato di Novembre. Durante il periodo Kamakura (1185-1333 d.C.) si scelse per la festa il giorno 15 di Novembre… o meglio il 15 del mese lunare corrispondente, giorno… anzi, notte di luna piena (il Giappone in passato utilizzava un calendario lunare, quindi la luna piena cadeva durante un giorno preciso).
Certo, risalendo così indietro nel tempo possono nascere dei dubbi sulle fonti e sulla reale connessione tra quegli eventi e l’attuale festa. Ad ogni modo si dice che durante il periodo Edo (1603-1868 d.C.), lo shougun Tokugawa Tsunayoshi, che “regnò” dal 1680 al 1709, celebrò la buona salute del suo figlioletto di tre anni, Tokumatsu, nella medesima data. Inoltre, secondo il libro “Nihon Matsuri to Nenju Gyoji Jiten” (“Dizionario di feste giapponesi ed eventi annuali”), nello stesso periodo questa celebrazione fu “allargata alla gente comune” perché i commercianti di kimono la promossero con forza in quanto occasione per comprare un kimono nuovo per i propri figli.
La tradizione seguita oggigiorno per questa festa è nata invece nell’era Meiji (dal 1868 d.C. al 1912 d.C.). Il 15 Novembre è stato ufficialmente scelto in quanto, come detto, è ritenuto dai giapponesi uno dei giorni più fortunati dell’anno.
Forse vi chiederete… Ma perché curarsene? Mah, be’, ecco diciamo, tanto per curiosità… E perché se no, non posso andare avanti, I prezzi variano molto. In un negozio (di moda) e dalla lunga tradizione come il negozio Shirataki Gofuku, a Nerima-ku (uno dei distretti, “-ku”, di Tokyo; cartina) si può andare da un minimo di 200 fino addirittura a 2000 euro.
I kimono però si possono anche noleggiare, con pacchetti che prevedono messa in piega e trucco da parte di professionisti (tutto ovviamente per prezzi “modici”, variabili… tra i 300 e i 600 euro circa).Per fugare ogni vostro dubbio lo specifico: sì, tutto ciò non si riferisce alle mamme, stiamo parlando sempre di bambini tra i 3 e i 7 anni.
Nemmeno i maschietti sfuggono alla dura legge del mercato e non oso immaginare cosa molti siano costretti a sopportare per la gioia dei (facoltosi) papà.
Che significa “chitose ame”?
Ovviamente sono così lunghe proprio perché si vuole augurare ai bambini una lunga vita. Fatto curioso, questa tradizione ha origini molto antiche. Si dice infatti che sia nata nel famoso quartiere di Asakusa (nel distretto Taitou-ku a Tokyo; cartina) durante il periodo Edo, più o meno tra l’era Genroku (1688-1704 d.C.) e l’era Houei (1704-1711 d.C.).
Le chitose ame si presentano come bastoncini bianchi e rosa (colori di buon augurio per i giapponesi), in una confezione di carta decorata secondo temi classici, noti come tsuru-kame (cioè gru-tartaruga) e shouchikubai (pino-bambù-pruno). Ovviamente si tratta di animali e piante che sono simboli di longevità e fortuna (potete vederli bene nel link all’inizio del paragrafo).