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Domande (2)

Da una domanda di Massimo-kun

YAPPARI come avv. ha molte traduzioni ma qual’è quella più usata?

Intanto specifico che yappari non è “da solo”, ha alcune varianti dallo stesso significato…
(1) やっぱ → (2) やっぱり → (3) やっぱし → (4) やはり
Sono in quest’ordine perché la 1 è la più colloquiale, la 4 è la più formale. Credo che yappashi venga storicamente dal dialetto di Kyoto, ma ormai si usano tutte e le si capisce ovunque.
Non li si usa mai, ma avrebbero i loro kanji (il primo è “freccia”, mentre il secondo è “allargare”/”estendere”, da cui “tirare indietro”, come tiri la corda dell’arco):
矢張り(yahari), 矢っ張り(yappari), 矢っ張(yappa), 矢っ張し(yappashi)

Veniamo al senso…

Yappari è in realtà solo “yappari”. Non ha cioè un vero “corrispondente italiano” come, non so, “inu” = “cane”. Bisogna cercare di capire cosa vuol significare la parola nel determinato contesto e poi tradurla come si preferisce (e ora suggerirò alcune possibilità, ovviamente).
In generale è una “congiunzione conclusiva” (o almeno questo è il senso italiano). Espressioni più adatte, secondo il contesto sono “dopotutto”, “alla fin fine”, “in effetti (è…)” o “in effetti (+il verbo della frase, qualunque sia)”, “proprio/davvero”, “come immaginavo” o “proprio/davvero come immaginavo/pensavo/sospettavo”….
A volte si può tradurre anche con “Ripensandoci…” o perfino non tradurlo…
Ad esempio “yappari sou ne” può essere tradotto con “come immaginavo è proprio così, eh…” o “Eh! Lo sapevo…” o “Eh, lo immaginavo…” o solo “come immaginavo eh…” o “proprio come pensavo…” o perfino “Era/E’ inevitabile…” o “Le cose stanno proprio così allora, eh…?”

Ma appunto, ha questo “ruolo conclusivo”… Con una sfumatura particolare del tipo “considerato un fatto precedente, alla fin fine (ora che ho avuto modo di farmi un’opinione diretta in merito e/o verificare con mano) penso che/ho deciso che…”
La maggior parte delle volte tradurre perfettamente non è possibile.
“Yappari/Yahari kita ka(?!)” sarà una cosa tipo “Ah! Sei venuto davvero, eh?!” o “Uhm, sei venuto propprio come immaginavo, eh?!”. Frasi davvero bruttine in italiano… dobbiamo forzarle però, non c’è altro modo se vogliamo cercare di rendere quel yahari.

Qualunque frase si può tradurre un po’ come ci pare, basta che uno cerchi di rendere questo fatto (senso cocnlusivo + sfumatura). Per esempio la frase…
daigaku no jugyoo wa yappari muzukashii
io la tradurrei…
“le lezioni dell’università, (non c’è che dire) sono davvero difficili”
dove metto il “non c’è che dire” tra parentesi perché è, ovviamente, una traduzione libera… lo aggiungo proprio per rendere che ho considerato la cosa detta subito prima (concetto alla base di “yappari”) e non è possibile obiettare nulla (=non c’è che dire), anche ora che ho toccato con mano la realtà delle cose.
Nel caso di quest’altra frase…
iroiro kangaeta,yappari kuni e kaette shigoto o suru koto ni shita.
tradurrei con “dopotutto” o, ancora meglio, “alla fin fine”.
“Ci ho pensato parecchio e, alla fin fine, ho deciso che di tornare al mio paese e lavorare”
In quest’altra frase invece “Ripensandoci” è la traduzione più adatta secondo me…
yahari ki ga kawarimashita, boku mo ikimasu.
Ripensandoci… ho cambiato idea: vengo anch’io.

Nota solo per chi avesse dei dubbi su come ho coordinato le due frasi dell’ultimo esempio, cioè “forma in -masu + virgola + altra frase” invece di “forma in -te + altra frase”: in alcuni casi si può fare, specie se la virgola equivale al nostro due punti o coordina due frasi speculari… Ad esempio qui posso usare kawarimashita con la virgola dopo, non devo scrivere per forza kawatte… i libri mentono, abituatevi.

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