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Oshougatsu, ovvero Capodanno in Giappone (parte 3)

hatsumoude2013bSapevate che oggi è “capodannino”!? XD
Ebbene sì, il 15 gennaio è 小正月 ko-shougatsu e quel “ko” iniziale è in effetti il kanji di “piccolo”… Capodannino, quindi!

Visto che questo giorno segna ormai la fine del periodo festivo, mi è sembrato opportuno “usarlo” per pubblicare il post finale sull’argomento e “tirare un po’ le somme”, tappare i buchi rimasti nel nostro discorso. È ovvio però che se non avete ancora letto i post precedenti è il caso partiate da lì, quindi ecco i link:
Oshougatsu, Capodanno giapponese – prima parte e seconda parte

C’è, ad esempio, molto da dire su “matsu no uchi”, che finora abbiamo a mala pena citato. Koshougatsu un tempo era l’ultimo giorno del periodo di “matsu no uchi”, quindi mi pare appropriato partire da qui e spendere ancora qualche parola su questo periodo.

Il periodo di 松の内, “Matsu no uchi”

Come ormai saprete i primi sette giorni di gennaio sono detti 松の内, “Matsu no uchi”, dove matsu significa “pino/i” e uchi dà un’idea di interno/tra, periodo o situazione. Potremmo tradurre “il periodo dei/tra i pini”, che è indubbiamente una resa alquanto curiosa oppure, più banalmente (e intelligentemente), tradurremo “la prima settimana di gennaio”.

Ma come mai questi “pini”?
Già prima di Capodanno in realtà, di fronte a case, luoghi di lavoro, templi, istituti di vario genere, negozi tradizionali ecc. si possono vedere i kadomatsu 門松 (da 門 kado, ingresso, e 松 matsu, pino), che potete vedere nel precedente articolo, a destra e più giù.
Il bambù (take), simbolo di forza e crescita, nella foto a destra, presa davanti ad un teatro di Kabuki, appare insolitamente non tagliato: in questo caso si parla di 寸胴の門松 zundou no kadomatsu (kadomatsu cilindrico). Vi vorrei far notare che nell’immagine trovate gli auguri di cui vi dicevo, kinga shinnen, scritti in uno striscione sullo sfondo.

Gli elementi presenti in queste decorazioni possono essere vari (anche per via di influenze locali), ma i più comuni oltre al bambù sono il pino (matsu), simbolo di longevità, e il pruno (ume), simbolo di prosperità. Il loro scopo “religioso” tradizionale è quello di dare il benvenuto agli spiriti benevoli, i 神 kami, un termine per “divinità” (ma in un senso culturalmente diverso da quello inteso in Occidente).

Il periodo di “matsu no uchi” un tempo iniziava il 13 dicembre (e finiva il 15 gennaio), quando si portavano dei pini dai monti (松迎え matsu-mukae), usati poi per decorare gli ingressi e accogliere così i 歳神様 toshigami-sama, gli “onorevoli kami dell’anno” (anche detti 歳徳神 toshi-tokujin). È ovvio però che oggigiorno per i più il significato è solo quello di una decorazione che si usa nel periodo festivo, si mette a fine anno e si toglie tra il 7 e il 15 gennaio. Ed è altrettanto ovvio che è meglio usare queste “composizioni” che non trasportare dei pini, come si faceva un tempo, nel periodo Edo!

Foto tratta da muza-chan.net

Altre decorazioni molto particolari… nella prossima pagina!

Le shimekazari

Gli ingressi delle case, poi, vengono addobbati anche con delle altre decorazioni (se ne nota una anche nella foto sopra, al centro, appesa) chiamate しめ飾り shimekazari.

Il termine ha il prefisso shime, chiusura o “fascio” (come in un “fascio di fili intrecciati”)… e se ne osservate una capirete perché. Ma “c’è dell’altro dietro”. Perché ho scritto “shime” in kana e non in kanji? È vero, con certe parole capita, per praticità, di usare i kana invece dei kanji… ma quali sono i kanji di shime?

Foto tratta da muza-chan.net

Ma shime, sebbene abbia il senso citato, si scrive con kanji che ben poco hanno a che fare con l’idea di “chiusura”: 注連 (il primo è “versare” e “attenzione”, il secondo indica continuità, sequenza). Chi conosce un po’ di giapponese si aspetterebbe ben altro, il kanji di “shimeru”, cioè “chiudere”, tanto per cominciare. Non so dirvi il motivo per cui invece si usano questi kanji, ma seguitemi un attimo nel mio ragionamento…

Queste shimekazari sono, per così dire, “equivalenti” alle しめ縄 shimenawa: non a caso condividono la prima parte della parola… Per chi non lo sapesse, le shimenawa sono quelle corde (a volte decorate con – o fatte di – sola carta) che nei templi delimitano qualcosa di sacro. Probabilmente non conoscevate il termine, ma se siete appassionati di anime e/o manga ne avrete viste parecchie! Se no, guardate questa mia foto (-_^)

Ecco, personalmente sospetto che l’origine dei kanji di “shime” in shimenawa (e quindi anche in shimekazari) sia dovuta all’idea di rispettare quel che di sacro c’è o c’era nello spazio delimitato dalla corda: bisognava “fare attenzione 注 alla continuità 連 della corda” e cioè non si doveva “spezzarla”, tagliarla. Certo, il tutto è solo una mia speculazione^^

Lo “scopo” di queste “corde intrecciate” è ciò che le due hanno in comune e quel che mi fa dire che sono “equivalenti”. Le shimenawa infatti delimitano qualcosa di “sacro”. Ciò significa che per contro quel che è fuori dalla corda è “non-sacro”, no? Da questo concetto si è arrivati all’idea che le shimenawa delimitino qualcosa di sacro che il “non-sacro”, l’impuro, il male (chiamatelo come volete) non può e non deve toccare.
Lo scopo delle shimenawa è connesso a ciò: proteggono la casa “tenendo alla larga le disgrazie”, perché come le shimenawa (e Gandalf) dicono agli spiriti maligni “Tu… non puoi… passareee!”.
Secondo un’altra interpretazione invece, come i kadomatsu, accolgono i toshigami, poiché le shimenawa racchiudono qualcosa di sacro, la shimekazari risulta un invito alla divinità ad entrare e fermarsi nella casa sulla cui porta essa si trova.

La differenza, invece, tra shimenawa e shimekazari? Le parole sono diverse perché la seconda parte della parola ci ricorda il diverso uso: kazari significa infatti “decorazione” (poca fantasia, dite? Non posso darvi torto^^).

Foto dalla wikipedia giapponese

Le shimekazari possono variare nell’aspetto, ma hanno alcuni elementi comuni che ricorrono più spesso. I “fili” intrecciati che la compongono, vagamente simili al vimini, sono ricavati da piantine di riso. Ci sono poi le strisce di carta intrecciata, 紙垂 kamishide (o shide), che purificano dal male, le arance amare, daidai (di cui ho parlato alla fine dello scorso post su shougatsu), le foglie di yuzuriha (una pianta “parente” delle magnolie), le foglie di urajiro (un particolare tipo di pianta giapponese della famiglia delle felci, che si vede in questa foto), ed i rametti di pino o le foglie d’agrifoglio, che essendo sempreverdi simboleggiano e auspicano una lunga vita. Può esserci perfino qualche animale: un 折り鶴 orizuru, l’origami di una gru, che è simbolo di lunga vita, o (la replica di) un… aragosta! La wiki giapponese parla solo di “ebi” (gambero), ma cercando altrove ho scoperto che si tratta di “iseebi” (aragosta). Il nome deriva dal fatto che si trovavano nella provincia di Ise, ma il motivo per cui si usano come decorazione è un gioco di parole: 威勢がいい si legge “isee ga ii” e significa vigoroso, pieno di vita.

“Tutte qui” le decorazioni di shougatsu?
A dire il vero no, ce ne sono altre, ma sono un po’ troppe per trattarle tutte, abbiate pazienza. Potete però andare a questo elenco sulla wiki giapponese e aprire i vari link per vedere delle foto (-_^) ma non trascurate di leggere nell’ultima pagina qualche altra notizia particolare sul kagamimochi…

Nella prossima pagina invece facciamo gli auguri come si deve …fare dall’1 gennaio.

Augurare “Buon Anno!”

In una precedente parte di questo articolo abbiamo detto che prima di Capodanno si augura “Buon Anno” dicendo “yoi otoshi wo” e abbiamo ricordato l’espressione, tipica della forma scritta, più formale, “kinga shinnen” (che in genere si trova sulle cartoline).

Passato Capodanno si userà il ben più famoso Akemashite omedetou gozaimasu.
In “slang giovanile” lo si può abbreviare in un più semplice “ake ome” (non penso sia ancora “passato di moda”^^).
Si può pure dire shinnen omedetou gozaimasu, ma sempre e solo allo scoccare di mezzanotte perché “omedetou” non significa tanto auguri, quanto congratulazioni e quindi si dice per qualcosa che è stato, in un certo senso, già “ottenuto”, “conseguito”.

Va poi detto che certi dizionari online riportano shinnen akemashite omedetou gozaimasu, ma è errato, perché in questo caso “akeru” si scrive 明ける e significa “finire”. È una particolare sfumatura di “aprirsi/e” in effetti, ma in riferimento a un periodo di tempo assume il significato di “finire”, come peraltro accade anche in italiano: ad esempio posso dire la notte si aprì per lasciare il posto al giorno.

Ma perché il senso di “akeru” rende sbagliata l’espressione appena vista?
Provo a spiegarmi meglio…
1) Dicendo akemashite omedetou dico “congratulazioni per aver terminato (l’anno)” (e non “auguri per il nuovo anno”, che è reso da “yoi toshi wo”).
2) Dicendo shinnen omedetou intendo “congratulazioni per aver “ottenuto” questo nuovo anno” (dove “nuovo anno” è 新年 shinnen)… per quanto sia orribile da dire in italiano.
In akemashite omedetou il termine “l’anno” è sottinteso (l’ho messo tra parentesi nella traduzione al punto 1), ma se decido di mettere un riferimento all’anno e fraintendo il senso di akeru aggiungendo shinnen (nuovo anno) ottengo l’espressione di cui sopra:
“shinnen akemashite omedetou gozaimasu”
…e in effetti finisco per dire “congratulazioni per aver finito il nuovo anno“… che non ha senso ovviamente! ( ̄ε ̄;)

La prossima pagina tratterà delle nostre prime volte.
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Lo so cosa avete pensato… maliziosi… ma no, parleremo di tutt’altro.


C’è una prima volta (e una fine) per tutto

A parte l’ 初詣 hatsumoude, ovvero la prima visita al tempio nell’anno nuovo, di cui ho già parlato, un’altra “importante tradizione” di 正月 shougatsu (o meglio, di 元日 ganjitsu, per la precisione) è quella nota con il nome di お年玉 otoshidama.

Otoshidama letteralmente significa “palla dell’anno”. Strano nome, no?
Riflettendo un attimo qualcuno ricorderà che 玉 tama ha anche il senso di gioiello… ma sarebbe fuori strada.
Il vero riferimento è alle monete:
百円玉 hyakuen-dama per esempio indica la moneta da 百円 (hyakuen), cioè 100 yen.
I parenti, a volte anche gli amici di famiglia, sono soliti dare ai ragazzi dei soldi in regalo… anche molti a dire il vero… certamente più di 100 yen! Se non ricordo male la “paghetta” media nel complesso arriva a 200-400 euro (non male, visto che si tratta di una media e i bambini più piccoli ricevono sui 10-20 euro^^).

Ad ogni modo le banconote ripiegate in tre vengono messe in una busta, generalmente una busta particolare, fatta apposta (e a volte splendidamente decorata), di cui vedete un bell’esempio nella foto qui sopra.

Ma da dove viene il titolo di questo capitolo della nostra storia su shougatsu?

Be’, abbiamo parlato della prima visita al tempio, 初詣 l’hatsumoude, durante la quale parecchi giapponesi visitano i templi dopo la mezzanotte del 31 dicembre o in alternativa durante capodanno, indossando splendidi 着物 kimono e fermandosi al tempio a pregare.

Al tempio, poi, delle 巫女さん miko-san, le “sacerdotesse” del tempio…

(in realtà parlare di “addetta” forse è meglio perché c’è chi svolge il ruolo come part-time e non va considerata certo una vera “miko” in senso religioso) vendono dei particolari “amuleti”, chiamati お守り omamori, che la gente compra per sé o da regalare a qualcuno

… si spera proteggano la persona o propizino certi eventi (come un periodo fortunato, una vittoria di qualche genere, il passare gli esami, un parto sicuro o una guida senza incidenti).

Si può poi provare a scoprire la propria sorte per il nuovo anno con delle predizioni chiamate おみくじ (お神籤/お御籤) omikuji. Come prima cosa si pesca una stecchetta di legno con un numero (per farlo si pagano 100 yen, circa 1 euro).

A questo punto la 巫女さん miko-san dà al cliente (fedele?) una busta (o più di rado direttamente un rotolino di carta con la predizione) da un corrispondente cassettino numerato. Sul pezzettino di carta c’è scritta la nostra fortuna per quell’anno…

…in grande trovate una delle scritte tradotte (e in ordine di fortuna) nell’immagine sopra. C’è anche qualche sorta di predizione, molto simile a quelle dell’orosocopo, a dire il vero.

Se la nostra sorte non ci piace possiamo “esorcizzarla” e invece di portarci a casa l’omikuji possiamo ripiegarlo in una striscia lunga e stretta e annodarlo a un rametto di un albero vicino o ad una apposita… rastrelliera di legno? Non so come chiamarla, ma la vedete in foto qua sotto. Come si intuisce dall’immagine non si tratta di un “rito” proprio solo del periodo di oshougatsu (ho scattato la foto in piena estate).

Infine, immancabile, il 酒 sake, specie se caldo… o l’ 甘酒 amazake, anch’esso caldo, “pensato” più per i ragazzi, poiché in linea di principio si ottiene come il sake (lett. significa “sake dolce”), ma il contenuto alcolico è trascurabile.

Ma torniamo alle nostre “prime volte”. Abbiamo detto anche che il primo saluto dell’anno sarà sempre akemashite omedetou e abbiamo citato, nel caso di bambini e ragazzi… anche la prima paghetta, è il turno di altre “prime volte”.

Sì perché un po’ tutto quel che si fa il primo dell’anno ha un suo nome proprio. La contemplazione della 初日の出 hatsuhinode, la prima alba, ad esempio… il Sole è di enorme importanza nella cultura giapponese (e nella sua Estetica) e così i giapponesi si recano apposta in luoghi come spiagge o montagne da dove è possibile godere al meglio dello spettacolo della prima alba dell’anno.

Poi ci sono il primo sogno dell’anno (初夢 hatsuyume), il primo bagno caldo (若湯 wakayu o 初風呂 hatsuburo), passando per 初便り hatsudayori (la prima lettera ricevuta), 初釜 hatsugama (la prima cerimonia del tè dell’anno), 初売り hatsu-uri (la prima vendita conclusa) e 初買い hatsugai (le prime compere dell’anno)… fino ai classici buoni propositi da scriversi (e tradire il 2 gennaio) come prima opera di calligrafia dell’anno, detta 書き初め kakizome (fate caso al fatto che i kanji presenti sono quelli di “scrivere” e di “inizio”).

Se c’è una prima volta per tutto, c’è anche un’ultima volta… Siamo alla fine e se avrete la bontà di leggere anche l’ultima pagina, la scoprirete presto! ^__^

Dopo “tanti inizi”, c’è anche una fine di cui dobbiamo parlare…

Oshougatsu finisce ufficialmente con 二十日正月 hatsuka shougatsu, il 20 di gennaio, data per la quale si mettono via tutte le decorazioni …quelle non commestibili almeno. Questa mia frase sibillina è dovuta al fatto che… ora ci arrivo, ma partiamo innanzitutto da questi due fatti: l’11 gennaio è il giorno di 鏡開き kagamibiraki, mentre il 15 è koshougatsu e la conclusione “non ufficiale” di shougatsu.

Un tempo, in effetti, il 15 gennaio, con koshougatsu, si concludeva matsu no uchi, mentre il 20 era il giorno di kagamibiraki… il che aveva senso perché kagamibiraki è la tradizione di spezzare e mangiare il kagamimochi (le due tortine di mochi usate come offerte religiose), di cui abbiamo parlato sul finire dello scorso post. Essendo il 20 il giorno conclusivo di shougatsu aveva senso che allora si mettessero via le decorazioni (anche quelle commestibili). Tuttavia il 20 gennaio 1651 morì lo shougun Iemitsu Tokugawa e da allora quel giorno si considera sfortunato e la tradizione di kagamibiraki, che è propiziatoria, è stata spostata (perlopiù all’11 gennaio, ma ci sono zone dove si svolge nel più vicino weekend… e a Kyoto e dintorni per qualche motivo è il 4 gennaio).

Vi siete chiesti perché “kagamimochi” e “kagamibiraki”?

Kagami significa “specchio”. Ho trovato due spiegazioni, che non si escludono a vicenda, in una si dice che le tortine sono fatte a forma di specchio, nell’altra, più accurata, si parla di una doppia tradizione propria delle famiglie nobili e “doppia”, per uomini e donne. La tradizione “femminile” sarebbe quella che si è diffusa tra il popolino… e poiché le nobildonne ponevano il kagamimochi sul kagamidai (il mobiletto con lo specchio), da qui è venuto il nome del mochi e della tradizione moderna.
Inoltre lo specchio è simbolo di 円満 enman, armonia… Sembra strano, ma è vero ed è facile capire perché se si pensa che l’armonia giapponese è un concetto diverso dal nostro. Implica un’idea di uniformità, conformità, coincidenza (come di cose che coincidono, sono appaiate, equiparate, sovrapponibili) non a caso si rende spesso con il kanji di 合い ai e 合わせ awase. Ecco perché lo specchio è simbolo d’armonia.

Nel kagamimochi quando secca e indurisce si formano delle crepe… più crepe ha e migliore sarà il raccolto, si diceva un tempo in certe zone (per questo era propiziatoria).
Il termine per l’azione di spezzarlo sarebbe 鏡割り kagamiwari… ma non piace a nessuno: nemmeno a noi piace rompere gli specchi, ma nel caso dei giapponesi è colpa della parola “wari”, spezzare, e il suo kanji (composto da ferita, danno, ed una lama sul lato destro)… la si considera una 忌み言葉 imikotoba: una parola tabù.
Al suo posto, come accade spesso con parole tabù o anche solo dal suono “infausto”, si è deciso di usare il termine “hiraki”, che significa “aprire” (con un movimento simile a quello con cui si aprono le ante delle finestre e quindi simile a quello fatto per spezzare il mochi a metà) e risulta una parola fortunata perché dà un’idea di inizio (per lo stesso motivo un evento speciale come un matrimonio non ha una “chiusura”, che è un’imikotoba, invece ha una ohiraki… cioè pur essendo la fine della cerimonia si usa questo termine, più propizio).

Dunque, ormai è un po’ tardino per l’hatsumoude, ma non mi importa, voglio chiudere con quest’immagine e questo saluto!

あけまして おめでとう
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