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La grande artista Oui: nel nome e all’ombra del padre

Se ci si interessa di Giappone, prima o poi si incontra il nome di 葛飾北斎 Katsushika Hokusai, o più semplicemente solo Hokusai, l’artista giapponese per eccellenza, a cui sono indissolubilmente legati il mondo dell’Ukiyo-e e dell’arte giapponese. È innanzitutto merito suo, infatti, se l’arte giapponese si è riuscita ad affacciare anche in Occidente.

Un nome (tragicamente) molto meno noto è quello di 葛飾応為 Katsushika Oui (vero nome お栄 O-ei), la terza figlia di Hokusai, che ne ereditò il talento e per un periodo collaborò con il grande maestro. È su di lei, sotto vari aspetti, che incentreremo oggi il nostro discorso.

Purtroppo di questa artista ci sono note appena una decina di opere, più qualche collaborazione e attribuzione incerta e quindi non c’è da stupirsi se sia così poco nota al grande pubblico. Tuttavia, per fortuna, è uscito un film d’animazione (da pochissimo qui in Italia, ma un anno fa in Giappone) che cerca di far conoscere la sua complessa figura anche a chi è digiuno di arte giapponese, ma apprezza l’animazione. Si tratta di 百日紅 sarusuberi, noto in Italia con il sottotitolo Miss Hokusai.

Rimandiamo per un secondo il discorso sul nome, molto particolare, per vedere alcune scene dell’anime, targato Production IG (un famoso studio di animazione… ebbene sì, non esiste solo lo studio Ghibli).

Il curioso nome, la cui pronuncia non ha nulla a che fare con i kanji, deriva dal nome di un albero, sarusuberi, appunto, e dal fatto che una scimmia (saru) pur provando ad arrampicarsi su questo alberello finirebbe per scivolare (suberi)… cosa per altro non vera.

I kanji invece sono relativi al nome originale cinese della pianta in questione e sono dovuti al fatto che i suoi fiori sono di colore rosso/fucsia (紅) ed è una pianta che resta in fiore per un tempo relativamente lungo (百日 vuol dire “cento giorni”). 

La vita di Oui, anzi, O-ei è una vita davvero particolare. Non voglio rovinare la trama del film a chi decidesse di vederlo, ma basti dire che finì per divorziare dall’artista con cui era sposata perché lo riteneva inferiore a sè per bravura. Non fu un male per l’arte, però, perché tornando nello studio del padre, collaborò con lui ad alcune opere.

Non a caso una delle opere paterne, quella che vedete qui sotto, si ritiene sia un riferimento alla forte e volitiva figlia Oei…

Vi si ritrae una donna, indubbiamente molto forte, che, usando direttamente la “botte”, versa del sake (un gioco di parole con il primo nome d’arte della figlia, Sakae).

Ma ora bando agli indugi, vediamo le opere di O-ei, in tutto il loro splendore. Le prime sono quelle di sicura attribuzione (e le più belle, aggiungerei), mentre le ultime sono più dubbie o più o meno probabili collaborazioni. Attenzione, perché a non cliccare sulle immagini potreste perdervi molto.

Cosa ne pensate?

Sarà l’occhio inesperto, ma secondo me potrebbe meritare perfino più del padre.

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