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Gli usi di と (to) come congiunzione

C’è spesso confusione su come fare le frasi con “se” in giapponese. Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza. Il primo “se” di cui ci occupiamo (che non sempre è un “se”) è la congiunzione と (to).

Se eliminiamo l’uso “quotativo” (cioè i casi in cui questa particella serve a introdurre il discorso diretto o indiretto) e tutte le costruzioni idiomatiche con “to” (es. “X to iu Y”, “To iu to”, “da to ii ne”, ecc.), restiamo con appena 3 casi per questa congiunzione (tenete presente che dicendo “congiunzione” mi riferisco solo al caso in cui と unisce due frasi, se unisce 2 sostantivi non fa da congiunzione, ma da posposizione …e vi ricordo che come posposizione vuol dire “con” o “e”).
Ad ogni modo, solo in uno dei 3 casi menzionati, quello al punto 3, corrisponde alla vera, per così dire, congiunzione “se” in italiano… Ovviamente questo caso è quello che ci interessa di più al momento.
Se volete leggere solo una sintesi saltate a questo commento. Altrimenti cominciamo.

Attenzione a due cose…

Passiamo a vedere i vari casi in questione. Schematizzando una frase con “to” scrivendo Aと、B , abbiamo i seguenti casi:

  1. All’accadere di A spesso/immancabilmente succede B
  2. Ogni volta che (succede A), allora (succede B)
  3. Se/quando
    3.1) Facendo A succede subito B (B è al presente! と = “se” o “quando”, è lo stesso)
    3.2) Appena fatto A è successo B (B è al passato! と = “quando/appena”)
    N.B. “sotto-caso”: se il soggetto di A e B è lo stesso
  4. (Non) fare A comporta B
    N.B. caso particolare: la costruzione con ~といい (e ~とよかった)
  5. Obbligo e divieto

1. Creo un caso unico ma in effetti si tratta di due situazioni leggermente diverse:
1.1) A è la condizione o il momento usuale per il verificarsi di B
1.2) B è conseguenza naturale o inevitabile di A
In breve però Aと、B significa che all’accadere di A (spesso/immancabilmente) succede B.
Attenzione però! Non è detto che B sia una conseguenza di A, né che A sia la causa di B!

In questa prima frase, come detto, B non è conseguenza di A. Tuttavia al verificarsi della condizione A, o meglio, nel momento in cui A diventa vero (夏になると) si verifica B… in modo naturale, per così dire, spontaneo.

In questa seconda frase, anche se non è questa la “forma con cui appare” è evidente che B è una conseguenza di A… inoltre è una conseguenza “solita”, che accade spesso o immancabilmente (e difatti in frasi simili spesso ho よく o 必ず, kanarazu).

Ne parliamo ora ma è una caratteristica comune ai vari casi di cui parleremo, quindi ricordatela… Poiché è presente l’idea di una “immancabile conseguenza”, di un certo “automatismo”, come vedremo… Dopo il と non ho espressioni di intenzione, invito, richiesta… dove si veda la volontà del parlante. Quindi ad esempio se inizio con 春になると (haru ni naru to) non posso terminare la frase con 桜を見に行きたい (sakura wo mi ni ikitai) ad esempio (cioè VOGLIO andare a vedere i sakura) Lo stesso vale per forme come:
行こう(と思います)/行きませんか/行きましょうか/行ってください/行ったほうがいい.
In questo aspetto le frasi con と sono molto simili a quelle con ば che non sono seguite da espressioni di volontà… di norma (ma possono esserlo se la frase con -ba esprime uno stato… per esempio se si tratta di un aggettivo: samukunakereba ikou ne!).

2. Abitudini e azioni ricorrenti
La distinzione con il caso precedente non è così solida, specie nel caso 1.1, ma diciamo che qui si tratta di azioni compiute volontariamente da persone (prima in genere si trattava di fatti naturale, come nel caso dell’arrivo dell’estate o anche nel caso delle forti piogge). Come da titolo, possiamo pensare ad A come ad una abitudine. In B ritrovo spesso いつも. Nella traduzione uso spesso “ogni volta che” per rendere “to”.

  1. All’accadere di A spesso/immancabilmente succede B
  2. Ogni volta che (succede A), allora (succede B)
  3. Se/quando
    3.1) Facendo A succede subito B (B è al presente! と = “se” o “quando”, è lo stesso)
    3.2) Appena fatto A è successo B (B è al passato! と = “quando/appena”)
    N.B. “sotto-caso”: se il soggetto di A e B è lo stesso
  4. (Non) fare A comporta B
    N.B. caso particolare: la costruzione con ~といい (e ~とよかった)
  5. Obbligo e divieto


3. Conseguenza immediata tra due eventi
In effetti distinguo due casi, a seconda che in B abbia un presente (3.1) o un passato (3.2):
3.1) Facendo A succede subito B (と si può tradurre con “se” o “quando”)
3.2) Appena fatto A è successo B (と si può tradurre con “quando/appena” e non con “se”)

3.1) Va evidenziata l’idea di “conseguenza immediata” che vi è dietro, ma non è tutto qui. Questo tipo di frasi comprendono anche un’idea di naturalezza, spontaneità, o di un certo automatismo con cui si verifica l’azione B, posto che si verifichi prima l’azione A.
Il tipico esempio che mi piace fare è il seguente perché credo renda bene queste sfumature è il seguente:

Osservate il primo di questi, la frase (4). Conseguenza IMMEDIATA… siete d’accordo, no? Inoltre l’automatismo con cui l’azione A porta all’azione B dovrebbe essere altrettanto evidente, no?
Non a caso è una costruzione che posso usare efficacemente per spiegare la funzione di una cosa… perché posso dire che se faccio l’azione A, ottengo la (immediata) risposta B da parte dell’oggetto di cui sto illustrando la funzione.

Notiamo un’altra cosa. In tutti questi casi (le frasi 4-6) se sostituisco “se” con “quando”, in italiano non cambia proprio nulla… ma non è sempre così. Sebbene sia del tutto vero che in questo tipo di frasi ipotetiche, il fattore tempo è importantissimo (la prima parte della frase, A, avviene sempre prima della seconda parte, B), è anche vero che ci sono casi in cui usare “quando” nella traduzione italiana non è affatto una valida opzione (come nelle frasi 7a e 7b qui sotto).
Dunque (1) NON associate questa costruzione in modo inflessibile ad una precisa traduzione (non fatelo mai, per nessuna costruzione) e (2) non affidatevi (non ciecamente perlomeno) all’idea “La congiunzione と si usa, se posso usare sia “se” che “quando” indifferentemente”, perché è spesso vero, ma non è un ragionamento del tutto corretto e può trarre in inganno (come potete notare nelle prossime frasi dove usare un “quando” risulta davvero brutto in una traduzione in italiano).
Quel che invece dovete fare è cercare di capire, tramite gli esempi, questo forte legame tra la parte A e la parte B della frase, dato dalla particella と. Tutto il discorso fatto sulla naturalezza e/o l’automatismo con cui ad A segue B ed il legame temporale che lega la condizione A alla conseguenza B.

Con le frasi 7a e 7b (sostanzialmente identiche in giapponese) ho suggerito due possibili traduzioni, una (7a) più “fedele” alla costruzione come è stata vista finora, l’altra (7b) più corretta e naturale in italiano.

3.2) Il caso 3.2 prevede la presenza del passato nella parte (B) della frase, cioè dopo il と; l’azione al passato costituisce spesso una sorpresa, qualcosa di inatteso, una scoperta. In questo caso non posso mai tradurre con “se” o la frase italiana perde di senso.
Osservate il seguente esempio:

Forse vorreste dire “Ehi! Non posso tradurre con il se, solo con quando… come fa ad essere lo stesso caso del punto precedente?”. Al che io vi risponderei “Ma avete letto il titolo del punto 3? Lì parlo di conseguenza immediata e questo fatto resta immutato”. Certo, non si tratta di un rapporto causa-effetto, ma ciò non toglie che in AとB all’accadere del fatto A segue… anzi, consegue immediatamente il fatto B.

Ricordate poi che l’elemento sorpresa non può essere sempre “esplicito”. L’uso di questa costruzione può farlo supporre, ma si tratta di una sfumatura:

Se qui vogliamo parlare di “sorpresa”, bene, ma nessuno salta sulla sedia, giusto? Come dicevo più su, è meglio parlare di azioni slegate che “stranamente” si susseguono, B non deve essere un fatto strano di per sé!

Attenzione! La costruzione Aと、B si può spezzare in A。するとB。(il primo punto può essere una virgola, non importa). Una buona traduzione per “suru to” spesso è “Al che”. Di seguito trovate un esempio che, detto per inciso, riprende anche la questione della “sorpresa non proprio esplicita”.

Il fatto che qualcuno risponda non può sorprendere (certo, può essere che poi la risposta sia qualcosa di sorprendente, e forse è questo che si vuol preannunciare, ma il verbo nella frase è solo kotaeru, “rispondere”, punto. E se parlo con qualcuno, ricevere una risposta non è strano, no?^^).

Il punto 3.2 contiene poi un “sotto-caso” che richiede che le frasi connesse tramite と abbiano lo stesso soggetto.
Se ciò si verifica, invece di “Quando fece A, accadde B” (e B costituisce una sorpresa), ho il significato “Dopo che fece A, fece B”. A ciò posso aggiungere una traduzione alternativa del tipo “Finito di fare A, fece subito B”. Ed ecco il perché della traduzione “ambivalente” data più su, all’inizio del paragrafo 3 (Appena fatto A è successo B, che può rispecchiare sia il caso 3.2 che questo “sotto-caso”).
Perché non considerare questo caso come un caso a parte? Perché non lo è. L’idea di base resta la stessa: qui non ho “sorpresa” nella parte B della frase, ma le azioni A e B sono slegate tra loro eppure all’accadere di A, ho anche B. Si enfatizza la rapida successioni di eventi.
Vediamo un paio di esempi. Con il secondo ho provato a suggerire una diversa resa, coordinando le frasi con una semplice virgola.

  1. All’accadere di A spesso/immancabilmente succede B
  2. Ogni volta che (succede A), allora (succede B)
  3. Se/quando
    3.1) Facendo A succede subito B (B è al presente! と = “se” o “quando”, è lo stesso)
    3.2) Appena fatto A è successo B (B è al passato! と = “quando/appena”)
    N.B. “sotto-caso”: se il soggetto di A e B è lo stesso
  4. (Non) fare A comporta B
    N.B. caso particolare: la costruzione con ~といい (e ~とよかった)
  5. Obbligo e divieto


Adesso vediamo un paio di casi particolari facilmente riconducibili al punto 3, ma che penso sia il caso di vedere separatamente.

4. …o 3.3? (Non) fare A comporta B
C’è poco da dire, perché appunto non ho una conseguenza immediata avendo una azione al negativo nella prima parte della frase (non posso avere la conseguenza di una azione che non avviene, no?). Tuttavia posso dire che il fatto che non avviene un’azione equivale a (ha come conseguenza immediata) l’azione espressa in B… e così torniamo al punto 3. Insomma, come da titolo, “Non fare l’azione A comporta l’azione B”.

Vediamo ora un esempio la cui resa in italiano non è così semplice.

La difficoltà nella resa è dovuta alla presenza di un aggettivo nella seconda parte della frase. Per i giapponesi un aggettivo si comporta come un verbo, per noi invece no: ha bisogno di un sostantivo a cui riferirsi. Posso dire “penso che se non si chiude bene la porta, è pericoloso”, ma è una resa davvero brutta. Dunque se B è un aggettivo, forse è il caso di mettere l’azione A al modo infinito nella frase italiana.

Ma perché il “non” tra parentesi nel titolo se poi propongo solo esempi al negativo? Ci siamo difatti limitati, con la spiegazione a inizio paragrafo, a casi in cui la parte (A) della frase è negativa, ma c’è un caso interessante in cui sia la parte (A) che la parte (B) sono “positive” e per il quale possiamo comunque dire che mantiene l’idea di “A comporta B”.
Ne abbiamo accennato all’inizio… si tratta de la costruzione con といい dove “ii” è l’aggettivo irregolare ii (/yoi), yokunai…
Se usiamo l’aggettivo al negativo abbiamo una frase identica alla (15), quella con abunai, ma se creiamo una frase terminante in といい(です)… abbiamo frasi che esprimo una speranza (es.: Spero che…, Sarebbe bello se…). Piccola nota (ne riparleremo), si possono fare frasi equivalente usando la forma in -tara (es. ittara ii nee).

E se invece di “…to ii” avessi un passato? Be’ invece di “è bello” o “sarebbe bello se…” (vd. traduzioni della 16), semplicemente scriverò al passato “era bello” o “sarebbe stato bello se…”. Quindi “sarebbe stato meglio se…” o “avrei/avresti fatto meglio a…” (a seconda del contesto, ovviamente).

  1. All’accadere di A spesso/immancabilmente succede B
  2. Ogni volta che (succede A), allora (succede B)
  3. Se/quando
    3.1) Facendo A succede subito B (B è al presente! と = “se” o “quando”, è lo stesso)
    3.2) Appena fatto A è successo B (B è al passato! と = “quando/appena”)
    N.B. “sotto-caso”: se il soggetto di A e B è lo stesso
  4. (Non) fare A comporta B
    N.B. caso particolare: la costruzione con ~といい (e ~とよかった)
  5. Obbligo e divieto

5. Obbligo e divieto
Anche quest’ultimo caso è strettamente connesso al terzo (o potremmo vederlo come caso particolare del 4°), ma dato che in italiano implica un concetto molto diverso, lo vediamo come caso a parte.

Ma come si collegano le frasi con to viste finora a questa forma di obbligo? Perché improvvisamente tiriamo fuori il verbo “bisogna” o il verbo “dovere”?

Vorrei rispondere subito, ma serve prima una premessa, per ricordare alcune cose già viste e per chiarirle.
Avrete visto almeno una costruzione di obbligo molto simile, p.e. X wo shinakute wa ikenai, significa Bisogna/Si deve fare X. I testi che che la insegnano però evitano di dire alcune cose che a mio parere (modesto, per carità) sono molto importanti.

  1. Queste cosiddette “forme di obbligo” (o di divieto, se la parte iniziale è alla forma affermativa, es.: shite wa ikenai) sono solo frasi ipotetiche… sempre! Significano tutte la stessa cosa: “Se non fai X, non va bene”.
  2. Le costruzioni di obbligo/divieto non sono così rigide come ci fanno credere (“naranai” non segue solo la forma in -nakereba e ikenai non segue solo la forma in -nakute wa; per esempio, ikanakute wa naranai va benissimo).
  3. Come visto sopra, nella prima parte della frase posso avere un presente negativo o affermativo, seguito da と e ottenere così una forma di obbligo o divieto, a seconda dei casi: boku wa X wo shinai to ikenai = devo fare X (suru to ikenai = non devo fare)

Un altro fatto spesso trascurato è il seguente. Le frasi giapponesi restano spesso “ufficialmente” in sospeso. Si elimina cioè la seconda parte della frase, per dare un tono meno “drastico” al tutto.

Similmente potete avere una frase tipo quella nell’immagine qui a destra, tratta dal manga Gisele Alain. 早く隠れないと hayaku kakurenai to …è chiaro anche solo dal contesto che significa “DOBBIAMO nasconderci in fretta!” o anche “Presto, dobbiamo nasconderci!”, se preferite.
Il punto però è lo stesso dell’esempio: la frase è spezzata, finisce alla congiunzione “to”.

Lo facciamo anche noi spesso (con altri tipi di frasi in genere): lasciamo la frase in sospeso a metà, mettendo poi i puntini di sospensione… Es.:
– Vorrei andarci… (manca “ma non posso”).
– E se ci andassi da solo…? (manca “andrebbe bene?”)
Nel nostro caso però la frase deve finire lì, con i puntini, ma non è così in giapponese. In giapponese, infatti, dove posso avere, per esempio, una particella finale come “ne” (sorosoro kaeranai to ne), o magari il tema posto in ultima posizione (inversione del tema; es. sorosoro kaeranai to, watashi).

Altro punto troppo spesso trascurato dai libri. Come “narai” e “ikenai” si possono scambiare di posto, così posso usare qualunque altra forma che renda lo stesso concetto. I negativi di iku, anche alla forma piana… ikanai, ikanu, ikan… vanno benissimo. Ma anche un aggettivo va bene! Ad esempio la prossima frase usa 駄目 (dame).

…piccola nota a margine, spero sia chiaro il parallelismo con il punto 4, dove abbiamo visto “tojimari wo shikkari shinai to abunai”. Qui abbiamo “dame” invece di “abunai”, ma è lo stesso. Perché parlarne qui e non al punto 4, allora? Perché, come avrete visto nell’esempio, la traduzione letterale è davvero brutta e usare un’espressione d’obbligo (o divieto) è molto meglio… mentre “(se non chiudi)/non chiudere bene la porta è pericoloso” funziona benissimo… e tradurre “devi chiudere bene…” fa perdere qualcosa alla traduzione (l’idea di pericolo, ovviamente).

Infine con i prossimi esempi vorrei far notare che un’espressione d’obbligo o di divieto non è “a sé stante”. Qui di seguito la vediamo posta come domanda con “no desu”, la vediamo usata come soggettiva (il verbo è all’infinito) nella frase 20 e infine, nella frase 21, la vediamo in un discorso indiretto retta da “to iu” (in questa frase と云う con un kanji che forse non siete abituati a vedere, ma capita abbastanza spesso).

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