Site icon Studiare (da) Giapponese

Bambini rossi e verdi (prima parte)

Bambini …rossi e verdi?! (´゚д゚`)

Lo so già. Penserete che sono pazzo. Oppure razzista-in-modo-molto-strano. Ma vi dico che in Giappone ci sono bambini rossi, verdi e perfino… in parte perlomeno …blu!

Di cosa cavolo sto parlando?

Pensateci… non conoscete la parola giapponese per neonato? È 赤ちゃん aka-chan. Be’, questo è il termine affettuoso, probabilmente più diffuso. Più “neutro”, sempre informale, è il termine 赤ん坊 akanbou.

E allora?!

…starete pensando. Be’, guardate il kanji… 赤 è il kanji di 赤い akai, “rosso”! Sorpresi?
Però c’è un motivo, ovviamente… ora lo vederemo e prenderemo questo punto come “scusa”, per parlare diffusamente di etimologia e colori.

I bambini secondo i giapponesi (e secondo gogen-allguide.com) appaiono leggermente rossi (può darsi che sia dovuto alla maggior temperatura corporea e all’alto battito cardiaco che porta una maggior irrorazione sanguigna e quindi una sfumatura rossa alla pelle), da qui termini come akanbou e aka-chan.

Tutto qui? Abbiamo fatto in fretta! – direte voi. No, voglio darvi il mio parere, una volta tanto. Secondo me l’etimologia della parola aka, rosso, gioca anch’essa un ruolo. La scelta del termine avrebbe un che di propiziatorio, più che essere dettato dall’osservazione. D’altronde questo è un modo di fare che ritroviamo nei nomi propri, come 太郎, Tarou, il nome maschile più comune fino a 10 o 20 anni fa. Tarou era così diffuso per un motivo molto semplice, significa “figlio grasso”. Un insulto oggi giorno, ma un tempo era un vero e proprio augurio di vivere una vita agiata, di avere la fortuna di ingrassare.
Capito, ragazze? Non sono grasso, sono fortunato, ok? ♪~( ̄ε ̄;)

Attenzione, non parlo del kanji, che ci dice poco. Infatti 赤 è probabilmente composto da una variazione di 大 ookii, DAI, TAI, cioè “grande” (la parte simile a 土 tsuchi, DO, TO, che significa “terra”) e da una parte sottostante che è forse una variazione di 火 hi, KA, ovvero sia “fuoco”. No, qui voglio parlare proprio della parola giapponese originaria, del “suono” aka, che il giapponese moderno indica con il kanji 赤 e associa al significato “rosso”.

Come altri termini abbastanza comuni ci possono provare, aka è legato anche al concetto di luce e all’idea di qualcosa di luminoso, lampante e (quindi) evidente… nonché, a partire dall’idea di luce, anche al concetto di completezza, totalità. Inutile dire come associare queste idee ad un bambino non sia fuori dal mondo, poiché anche per noi la luce si associa solo a concetti positivi, come quello di vita, specie una nuova vita (es. venire alla luce), la speranza, ecc.

Che vocaboli assocerebbero questi concetti?

Ad esempio posso dire 真っ赤な嘘 makka na uso, una completa ed evidente bugia, oppure anche 赤の他人 aka no tanin, un perfetto sconosciuto …e ancora 赤っ恥 akappaji, dove il primo kanji serve a “intensificare” il senso del secondo (vergogna). È chiaro che in queste parole il rosso non c’entra…

Da dove arriva questa associazione?

Dalla parola giapponese per il colore rosso, aka. Si ritrova identica in 明るい akarui, che significa appunto “luminoso”. Tramite certe trasformazioni linguistiche, anche il concetto di evidente vi è legato, come dimostra la parola 明らか akiraka, che, come vedete, conserva il kanji 明 di akarui, appena visto.

Attenzione perché il meglio di questo articolo comincia nella prossima pagina!

C’è poi il simbolismo…

Non è finita, infatti. Da un lato in Cina il rosso è il colore della fortuna. Anche i daruma giapponesi, particolarissime “bambole” bene auguranti, sono tipicamente rossi… e rossi, spesso, sono gli uchikake, i “kimono da sposa” (quando non sono bianchi).

Ad ogni modo in Giappone il rosso ha altri significati. Lo ritroviamo associato ancora alla luce, tanto per cominciare. Come vi ho detto in un altro post (il precedente post dedicato ai colori), il sole è rosso secondo i giapponesi (e non solo al tramonto): i bambini dell’asilo disegnano il sole rosso e la bandiera giapponese, detta 日の丸 Hi no maru, il disco del sole, presenta un sole rosso (con i raggi, prima della seconda guerra mondiale, senza oggigiorno) in campo bianco.

Tutto ciò sostiene l’associazione tra il rosso e la luce, ma non c’è solo questo dietro. Se guardiamo alla cosa storicamente scopriamo che il rosso ha altre “funzioni”, come tenere lontani gli spiriti e il male, purificare, avvicinare al sacro.

È sufficiente guardare i tempi scintoisti, spesso d’un rosso intenso e brillante. Ma non solo, le 巫女さん miko-san, le “sacerdotesse” che servono la divinità, o perlomeno lavorano in un tempio scintoista, indossano degli 袴 hakama che sono rossi (mentre la parte alta del vestito è bianca).

Ma la simbologia religiosa non si ferma qui… Pensate ai 鳥居 torii e ai ponti nelle vicinanze di un tempio. Sono dipinti dello stesso rosso! Sia i torii (spesso in fila a segnare un intero percorso o all’ingresso di un tempio), sia i ponti simboleggiano l’idea di un passaggio verso qualcosa di sacro.

E non è certo tutto qui. Anche nel buddismo ritrovo il rosso (pensate ai monaci nepalesi), tramite le influenze cinesi che lo portarono in Giappone. D’altronde il rosso è uno dei cinque colori emanati da Budda quando ottenne l’illuminazione, simboleggia saggezza, dignità, resistenza al male (di nuovo, pensate ai monaci), nonché fortuna.

Nella prossima e ultima pagina parleremo appunto di “divinità” buddiste e animali sacri …credete che sia noioso?! Vi assicuro che non lo sarà, fidatevi! (-_^)

Le “divinità” buddiste

観音菩薩 Kannon Bosatsu, “divinità” buddista della pietà e della grazia, può avere diverse incarnazioni, due in particolare, molto amate in Giappone, sono associate ai bambini… una protegge gli spiriti dei bambini nati morti, l’altra favorisce un parto sicuro ed è venerata (perlomeno dal 1400 ca.) come la dea che dà ai genitori la benedizione d’un figlio.
Perché parlarne? Perché è possibile vederne spesso la statua, con un cappellino rosso e una sorta di bavaglino, anch’esso rosso… stesso cappello e bavaglino rossi toccano anche a 賓頭盧 Binzuru, divinità della salute, in particolare quella dei bambini, nonché al famoso bosatsu Jizou, 地蔵菩薩, più noto come Jizou-san (molti occidentali, l’hanno già visto, ma pochi sanno chi sia), che è il salvatore dai tormenti dell’Inferno, protettore dei bambini e della maternità. Lo vedete nell’immagine qui sotto.

Gli animali “sacri”

Se le divinità non bastassero, ci sono gli animali e… i giochi!
L’aka-beko, 赤ベコ il bue rosso, è un giocattolo che deve la sua origine, si dice, ad un curioso episodio.

Un bue dal manto rossastro fu usato (parliamo di secoli fa) per trasportare materiale nella costruzione di un grande tempio buddista. Finito il lavoro non si volle più spostare. Si finì per pensare che si trattasse d’un bue davvero devoto, o perlomeno che fosse un qualche segno. Qualcuno ne realizzò un giocattolo e questo, rosso ovviamente, cominciò ad essere regalato ai bambini, specie durante le epidemie, come una sorta di amuleto che doveva proteggerli dalle malattie.

Non so se la cosa vi sorprenderà, ma statue di buoi si trovano nei templi e indossano, indovinate un po’… bavaglini rossi. Uno dei buoi del tempio Tenman-gu (per altre immagini vd. qui), a Kyoto, pare aiuti a superare gli esami se gli si strofina la testa.

Restiamo agli animali… Abbiamo anche le volpi, con i loro bei bavaglini rossi. Volpe si dice kitsune, di norma. Le abbiamo dedicato un articolo, ricordate? Potete trovarlo a questo indirizzo.
Se ve lo ricordate forse ricorderete anche che sono spesso dette o-inari-sama.

Inari si scrive 稲荷, con il kanji di “piantina di riso” (il primo), e indicava la divinità dei raccolti (del riso ovviamente). Le volpi erano le sue messaggere. A questo punto dobbiamo ricordarci anche dell’etimologia di 稲妻 inazuma, fulmine. Ne ho parlato tempo fa, in questo commento. In breve il fulmine è detto spesso 雷 kaminari, un termine il cui kanji ha le componenti di 雨 “pioggia” e 田 “campo coltivato”, ma che è anche, ovviamente, correlato al termine 神鳴り che leggo kami+nari, cioè “divinità” e “frastuono”. Tuttavia il fulmine è spesso detto anche inazuma, appunto, scritto con i kanji di “pianta di riso” e “moglie”. Il kanji di “moglie” però, è lì a sostituire una vecchia parola, che significava “amante”, diciamo, e che aveva la stessa pronuncia. In pratica si credeva che i fulmini, che cadevano sulle marcite in gran numero nel periodo prima della raccolta del riso, fossero il modo della divinità di fecondare i campi e di far così nascere il riso.

…e direi che con quest’idea di fertilità (in senso più o meno sessuale^^) legata al fulmine e quindi alle volpi, abbiamo gettato una nuova luce anche sulla figura delle volpi… sempre con i loro bei bavaglini.
Ci accontentiamo? Decisamente no!

Ci sono anche le scimmie, infatti! Le scimmie giapponesi dal tipico sederino rosso sono considerate un altro simbolo di fertilità e adorate anch’esse. Spesso sono raffigurate con in braccio un piccolo (!) e sono “divinità” protettrici che garantiscono fertilità, un parto senza problemi e l’armonia del matrimonio. Serve dirlo? Anche le scimmie hanno il loro corredo di bavaglino e cappellino rosso.

Inoltre, poiché “scimmia” si dice 猿 saru e 去る saru, porta con sé l’idea di “espellere”, cacciare, sono anche associate alla protezione dal male. Ad esempio, ai lati dell’architrave dell’ingresso nel muro di recinzione delle case tradizionali, si trovano a volte raffigurate delle scimmie, dette 身代わり猿 migawari-zaru. Migawari significa usare/scambiare il proprio corpo con quello di qualcun altro per proteggerlo… tipo la guardia del corpo che si prende un proiettile per il vip di turno. Queste scimmie, in effetti, verrebbero colpite da malattie e disgrazie al posto degli abitanti della casa, protetta così da ogni male. Secondo le credenze, certe tragedie erano portate da una precisa divinità, Koushin, della quale la scimmia è considerata la “servitrice”. Vedendo le scimmie, ad esempio sul muro attorno alla casa, la divinità finiva per sfogarsi (come era ovvio nel Giappone antico?) sulle sue servitrici, risparmiando così la famiglia dentro la casa.
O così o è un esempio di… scimmie eroiche! Su Rieducational Channel (cit. XD).

Ok, con questa prima parte abbiamo visto i “bambini rossi”, dall’origine del termine al perché simbolicamente possono essere ricollegati al colore rosso. La prossima volta vedremo i “bambini verdi” e parleremo un po’ del colore verde, stay tuned perché ci saranno anche lì alcune “stranezze” che non vi aspettereste mai… (-_^)

Exit mobile version