In questa rubrica stiamo parlando, da alcuni post, di “(indossare una) maschera sociale”, tema che abbiamo associato a una “terza regola della società giapponese“. Abbiamo visto i primi due punti qui sotto

  1. 配慮 hairyo, la considerazione per gli altri
  2. La vergogna, la faccia e le apparenze
  3. La buona educazione
  4. I proverbiali(?) tre cuori dei giapponesi

Oggi affrontiamo il successivo, davvero molto interessante, specie perché tutti hanno sentito dire che i giapponesi sono molto educati, ma pochi sanno che non è sempre stato così e forse ancora meno persone sanno fin dove si può arrivare (a quali estremi!) con l’educazione e le buone maniere.

Buona lettura!

C. La buona educazione

Sapevate che quando fu introdotta l’istruzione obbligatoria in Giappone, molte scuole furono date alle fiamme per protesta? Il fatto che le scuole togliessero braccia nei campi è certamente comprensibile, ma ciò non toglie che questo episodio non rispecchia esattamente l’immagine dei giapponesi moderni, gentili e ben educati.

E sapevate che prima del 1960 in Giappone nessuno rispettava le file, proprio come nella Cina di oggi? Oggi è l’esatto opposto e ovunque si trovano file ordinatissime… per entrare nei ristoranti (e non parlo di “alti livelli”, anche un posto dove mangiare un buon ramen può avere la fila fuori), per salire sul treno, per fare le foto alle/ai cosplayers…

Per arrivare al Giappone odierno c’è voluta molta fatica e soprattutto una grande opera di educazione operata dal governo: la scuola è stata un elemento-chiave, ovviamente, ma anche quelle che oggi chiameremmo “pubblicità progresso” hanno avuto il loro ruolo.

Tutto ciò rende evidente il fatto che per evitare di avere gente che salta la fila, parcheggi selvaggi, falsi invalidi, furbetti del cartellino e del quartierino, evasori, politici mangioni, mafiosi ecc. bisognerebbe investire nella scuola, ridare dignità alla cultura e a chi insegna, far capire alla gente l’importanza della cultura, dell’istruzione e della ricerca come unico modo per creare un paese migliore, ricco e senza tensioni sociali, perché altrimenti ci condanniamo a questa eterna decadenza che stiamo vivendo da quasi 50 anni.

Ma smettiamo di parlare al muro e torniamo a paesi più seri: vi dicevo che in Giappone varie campagne educative hanno formato i giapponesi. Per esempio prima delle olimpiadi di Tokyo del 1960 si è portata avanti una campagna per insegnare alla gente a fare la fila. Oggigiorno, tra le ultime iniziative c’è quella contro l’ 歩きスマホ aruki sumaho, l’uso del cellulare mentre si cammina …e non solo! Nelle stazioni, un po’ ovunque, si trovano manifesti contro la violenza e/o l’ubriachezza (come causa di violenza familiare e incidenti in stazione, ad esempio), per ricordare di dare la precedenza alle donne con bambini sui treni e agli anziani, per invitare a spegnere i cellulari o tenerli su silenzioso, e così via.

In ciascun manifesto è quasi onnipresente “l’occhio della gente” (hito no me), di cui abbiamo parlato l’altra volta, che poi è l’arma più potente in Giappone per persuadere le persone a cambiare comportamenti.

La buona educazione e le buone maniere

In italiano non creiamo una vera distinzione tra queste due cose (i più le ignorano entrambe in modo del tutto imparziale), in giapponese però si distingue tra 礼儀 reigi e マナー manaa (dall’inglese “manner”). Il primo termine è riferito alla buona (o cattiva) educazione che si dimostra nei confronti di un’altra persona; il secondo invece è riferito al proprio comportamento in pubblico (p.e. silenziare il cellulare sul treno e spegnerlo quando si è vicini ai sedili riservati ad anziani, donne incinte, invalidi…).

Fatto molto interessante, quando si vuole intendere “essere ben educato” si usa con reigi e manaa lo stesso verbo, 守る mamoru, proteggere, che si usa per “rispettare la legge”! Ecco quanto è importante l’educazione… ^^;;

Il fondamento primo dell’educazione “reigi” è il saluto, o meglio l’ 挨拶 aisatsu. Avete presente quando c’è un delitto e non se lo aspettava nessuno e tutti dicono “sembrava tanto una brava persona”? Ecco, l’equivalente è きちんと挨拶をする人でした kichinto aisatsu wo suru hito deshita, cioè “era una persona che salutava sempre come si deve”… Spero questo renda l’idea di quanto sia importante il saluto, se non salutate il vostro vicino perché non ha salutato prima lui, praticamente siete peggio di certi assassini che… Va be’, ora esagero un po’ ^^;;

Il tutto non si limita ai saluti però. Essere pronti a interagire con gli altri e farlo bene, diciamo “in modo disinvolto ma rispettoso”, ci porterà a sentirci dire cose come 付き合いがいい tsukiai ga ii o 愛想がいい aiso ga ii, due espressioni che significano praticamente la stessa cosa, anche se la traduzione letterale è un filo diversa. Nel primo caso ci viene detto che “ci relazioniamo bene con gli altri”, mentre nel secondo che “siamo affabili, amichevoli, amabili…”.

Certo, non dobbiamo esagerare. A furia di cercare di piacere potremmo ritrovarci con un perenne falso-sorrisetto sul viso, per il quale i giapponesi (e ti pareva) hanno una parola, anzi, più d’una! Si può parlare infatti di 愛想笑い aisowarai (ecco che torna “aiso”) o di 愛嬌笑い aikyouwarai, cioè dei “sorrisi fatti per ingraziarsi l’altra persona”… o addirittura di 追従笑い tsuishouwarai, “sorriso servile” o meglio “da leccapiedi”. Spesso negli anime e nei film chi fa di queste cose (parlo del viscido sorriso servile di tsuishouwarai), fa anche un gesto tipico noto come 胡麻をする goma wo suru, “pestare il sesamo (nel mortaio)”, un riferimento allo sfregarsi il dorso delle mani, come se ve le stesse lavando. Tutti i venditori scorretti, che vogliono fregare il cliente o comunque non stanno pensando ad altro che ai soldi, tendono a fare questo gesto (non nella realtà, ovvio).

Ma ci sono altri casi in cui si esagera con le buone maniere… Per esempio in azienda, dove tutto è codificato e ogni piccolo gesto, o la mancanza di un gesto, può essere interpretato come una terribile scortesia e porre perfino termine a un accordo commerciale.

Gli stessi giapponesi si lamentano che proprio non si capisce l’importanza di certe cose. Purtroppo però si è sempre fatto così e il conservatorismo va ancora per la maggiore nelle aziende giapponesi …tranne quando si tratta di licenziare: lì sono molto moderni, usano perfino l’inglese per “ristrutturare” (restructuring, abbreviato in リストラ risutora), al posto di “licenziare”.

Le eccessive buone maniere di cui gli impiegati giapponesi si lamentano più spesso apparentemente sono:

  • Dover notificare via telefono che ci si assenterà da lavoro, invece di poterlo fare via mail o via messaggio di Line (come vi dicevo, tutti usano Line in Giappone)
  • Doversi inchinare continuamente quando si accompagna un cliente all’ascensore, finché non si chiudono del tutto le porte
  • Non bere il tè offerto da un proprio cliente finché il cliente non ne prende un primo sorso (e, aggiungerei io per mia conoscenza personale, assolutamente mai sedersi prima di lui, anche se vi invita a sedervi)
  • Rispondere assolutamente al telefono prima del terzo squillo
  • Dover essere a lavoro perlomeno 5 minuti prima dell’orario di inizio del lavoro (allora ditemi che il mio turno inizia alle 9 meno cinque e pace fatta, no? No, a quanto pare)

Riesco a immaginare di peggio, ma bisogna viverci per capire certe cose, quindi fidiamoci.

In conclusione

In molti casi le buone maniere sono basate su 遠慮 enryo (astenersi pensando all’altra persona), 控え目 hikaeme (moderarsi, trattenersi) e tsutsushimu, che, fatto molto interessante, a seconda del kanji con cui è scritto vuol dire “trattenersi” (慎む) o “comportarsi con rispetto” (謹む).

Tuttavia esistono anche delle regole molto precise a seconda del contesto in cui ci si trova. Può essere un contesto pubblico, e allora si tratta semplicemente di “manaa”, ma può essere in azienda, e allora apriti cielo, guardate al vostro senpai e comportatevi come vi suggerisce.

Delle conseguenza di questi eccessi di buone maniere parleremo un’altra volta, per oggi è tutto, spero l’articolo vi sia piaciuto.

5 thoughts on “Capire il Giappone – La terza regola della società giapponese (3a parte)

  1. Premesso che ovviamente è un’impressione da profano e basata su qualcosa di probabilmente non rappresentativo…
    … ma spesso sono rimasto stupito nel vedere come in molti film/anime spesso ci sono scene in cui gli studenti affrontano a muso duro i professori , mettendone in discussione con veemenza questo o quell’altro aspetto, criticando aspramente il loro operato.
    Mi ha stupito la dicotomia tra un popolo che adora gli ossequi e questa ‘sfacciataggine’. Mi sono fatto un’idea per cui in effetti magari l’ossequiosità non indica necessariamente che uno debba DAVVERO comportarsi da inferiore o sentircisi…

    1. Va detto che quella è finzione cinematografica nella realtà non vedresti mai uno studente Giapponese affrontare, in nessun modo, un suo insegnante. Una cosa del genere per loro sarebbe fuori dal mondo… Ma questo non vuol dire che non ci sia chi detesta il proprio insegnante e gli augura un accidente… Solo che si evita il confronto, ci si scusa a profusione (lo si maledice col sorriso sulle labbra, eventualmente), così tutto finisce lì. Per me film e anime che citi hanno una funzione catartica in certi casi ed educativa in altri…. Dipende da come è mostrato chi “osa” affrontare un suo superiore.

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