L’articolo di oggi ovvero La terza regola della società giapponese riguarda la cosiddetta “maschera sociale”, il fatto che sia imperativo indossarne una e il paradosso per cui, per evitare di indossarla, si è costretti a ricorrere ad una maschera vera e propria… ma procediamo con calma.

Se vi foste persi gli articoli precedenti, andateli a leggere o il rischio è che non ci capiamo…

…in particolare l’ultimo articolo è necessario, perché ciò di cui parleremo oggi riguarda ovviamente i rapporti con l’altro. Se non vi siete persi niente, perfetto, continuate pure 😉

3. Terza regola: Indossare una maschera sociale

Inserirsi nella società giapponese richiede di indossare una maschera sociale, cioè rapportarsi agli altri membri della società, non così come siamo, ma presentando un’altra versione di noi stessi, che, anche se controvoglia, tiene in grande considerazione gli altri, come e più di sé stesso. In una certa misura ciò avviene in molte società, in Giappone però è una caratteristica spesso esasperata (e esasperante).

Parlare di “maschera sociale” richiede di considerare almeno quattro punti:

  1. 配慮 hairyo, la considerazione per gli altri
  2. La vergogna, la faccia e le apparenze
  3. La buona educazione
  4. I proverbiali(?) tre cuori dei giapponesi

Oggi cominciamo con il vedere il punto A.

A. 配慮 hairyo, la considerazione per gli altri

In ogni lingua ritroviamo delle parole che esprimono un concetto perché quel concetto è così importante che deve poter esser reso velocemente, senza giri di parole. In giapponese 配慮 hairyo è uno di questi concetti, ma non il solo. I termini che possiamo riunire in questo capitolo sono molti e riguardano:

  • A.1. Il fastidio arrecato agli altri
  • A.2. Trattenersi o astenersi per non provocare un fastidio
  • A.3. Prestare attenzione agli altri e averne cura
  • A.4. Capire la situazione altrui (e agire di conseguenza)
  • A.5. Esagerare con la considerazione per gli altri

Allora, che ve ne pare? Ci sono alcuni concetti particolari, no? Be’, cominciamo…

A.1. Il fastidio arrecato agli altri

Un primo esempio a tal proposito è una delle mie parole preferite: 近所迷惑 kinjomeiwaku, cioè il “fastidio arrecato ai vicini”. Ovviamente però c’è il più generico 迷惑をかける meiwaku wo kakeru, “arrecare/causare un/del fastidio”. Un’altra espressione molto comune è 不愉快な思いをさせてすみません fuyukai na omoi wo sasete sumimasen, “mi spiace di averLe provocato un sentimento spiacevole”.

La differenza tra la nostra cultura e quella giapponese si vedono già in queste espressioni (mi riferisco alle traduzioni) che suonano tutte più o meno “insolite”: è innegabile che non siamo abituati a sentir parlare di “fastidio arrecato ai vicini” e certamente nessuno si scusa per “aver arrecato un sentimento spiacevole”.

A.2. Trattenersi o astenersi per non provocare un fastidio

Ma non è solo questione di ciò che si fa e provoca fastidio. C’è anche l’idea di astenersi dal fare qualcosa che potrebbe risultare in un inconveniente per l’altra persona, un’idea ben resa dalla parola “enryo”, specie in espressioni negative: 遠慮しないでください enryo shinaide kudasai, equivalente al nostro “Prego, non faccia complimenti”. Quasi ironicamente l’uso di 遠慮 enryo in frasi affermative è anche un modo di rifiutare qualcosa, equivale a dire “mi astengo”, “preferisco astenermi” e cose del genere. Quel che però ci importa sottolineare qui è l’uso di enryo per descrivere qualcuno in senso positivo 遠慮深い enryobukai o negativo 無遠慮 buenryo, a indicare qualcuno che “sa trattenersi” o viceversa non sa farlo.

Insomma, una persona riservata, che non si impone sugli altri, è una persona degna di lode. Chi “si impone”, non capisce dove si trovano certi “limiti d’azione” e personali (personal boundaries, dicono gli inglesofoni), invece è considerato male. Non vi pare l’opposto di quel che succede da noi? Avete mai visto qualcuno scendere dalla macchina, lasciarla in mezzo alla strada con lo sportello aperto occupando l’unica corsia e entrare in un bar? O qualcuno che abbassa il finestrino e si ferma a chiacchierare con un amico 5 minuti creando una coda dietro di lui? O l’impiegato alle poste che chiacchiera amabilmente con un collega o un cliente-amico, mentre gli altri clienti bollono di rabbia? Immagino possiate pensare a decine di esempi del genere… tutte cose che non vedreste in Giappone, perché tutto ciò è imporsi sugli altri.

Un’altra cosa che non vedreste di norma è qualcuno che gira con abbigliamenti o capigliature sgargianti (ovvio che se andate a Harajuku o Akihabara ve la andate a cercare). Perché? Perché risaltare sugli altri, “saltare all’occhio” (目立つ medatsu), è una doppia violazione: significa imporsi sugli altri e rovinare l’armonia.

Quindi se pensate che “Il Giappone è bello perché posso pure vestirmi come mi pare/farmi dei capelli assurdi/tatuarmi e nessuno pensa male di me”, ricredetevi: il 99% dei presenti penserà male di voi, ma non ve lo dirà per non commettere il vostro stesso “crimine”: saltare all’occhio e rovinare così l’armonia.

A.3. Prestare attenzione agli altri e averne cura

Strano titolo, vero? Perché per noi è qualcosa di abbastanza estraneo. L’espressione più importante a tal proposito è certamente 気を使う ki wo tsukau, cioè, letteralmente, “usare lo spirito”. Si tratta di “tenere in considerazioni i sentimenti e la situazione altrui e agire di conseguenza, per non ferirlo, non imbarazzarlo, non metterlo in difficoltà, o addirittura favorirlo in qualche modo”. Avete mai visto una definizione così lunga? E potevo pure andare avanti! XD

A.4. Capire la situazione altrui (e agire di conseguenza)

Capire la situazione altrui in giapponese vuol dire innanzitutto “leggere l’aria”, o meglio “l’atmosfera” o, se preferite, “l’aria che tira”. Mi riferisco all’espressione 空気を読む kuuki wo yomu, leggere l’aria, per l’appunto.

Quanto è importante secondo voi “leggere l’aria”? Importantissimo. Pensate solo che nelle classifiche redatte da siti e giornali su “quale tipo di uomo non sopporti?” le donne mettono sempre sul podio “un uomo che non sa leggere l’aria”, 空気を読めない男 kuuki wo yomenai otoko, spesso abbreviato in KY男 kee wai otoko.

Ok, ok, si mente spesso in questi sondaggi e quindi forse non sarà davvero un punto tanto importante da meritare il primo posto, ma sarà comunque molto importante, no?

Ma cosa vuol dire “leggere l’aria” a conti fatti?

Significa capire le dinamiche del gruppo in cui ci si trova, pesare la posizione e la situazione di ciascuno e infine agire di conseguenza, parlare o tacere nei momenti opportuni, senza rovinare l’armonia del gruppo, preoccupandosi di non ferire, imbarazzare o creare problemi a nessuno.

Attenzione! Saper “leggere l’aria” è praticamente un prerequisito più che un merito. Fallire su questo punto significa creare imbarazzi e tensioni nel gruppo, cioè rovinarne l’armonia. Sapendo quanto i giapponesi odino sentirsi in una situazione imbarazzante è chiaro perché chi non sa leggere l’aria si attira tante antipatie.

Ma come dicevo, tutto ciò è quasi un prerequisito. Dov’è il merito allora? Nel saper comunicare senza comunicare ad esempio. 仄めかす/ほのめかす honomekasu significa sostanzialmente “lasciare a intendere”, mentre viceversa 察する sassuru indica l’intendere, il cogliere quel che l’altro ha lasciato a intendere. Se questa comunicazione non verbale ha successo, si può parlare di 以心伝心 ishindenshin, un termine che abbiamo già spiegato di recente (vd. link).

Un esempio in cui ritroviamo la necessità di “capire la situazione e agire di conseguenza” è quello in cui qualcuno si sente dire ちょっと考えさせてください chotto kangaesasete kudasai, per favore mi ci lasci riflettere. Se capisce che un’espressione del genere equivale a un nostro “no”, secco e deciso, ottimo. Se invece non lo capisce e magari arriva a 催促する saisoku suru, insistere, allora è un KY男 K.Y. otoko (o 女 “onna”, se è una donna).

A.5. Esagerare con la considerazione per gli altri

Quanto è importante avere considerazione degli altri, preoccuparsi e pensare a loro? È così importante che darne atto è un modo di lusingare la persona con cui stiamo parlando.

Prendiamo una situazione in cui una persona si è preoccupata della situazione di qualcuno e quindi gli domanda come vanno ora le cose. Se la situazione si è risolta bene la risposta di solito sarà: お蔭様で/おかげさまで okagesama de (daijoubu desu), che viene tradotto spesso con “Per fortuna”, “Grazie al cielo” o “Grazie a Dio” (ora va tutto bene).

Questo “okagesama de” in effetti equivale a dire “Grazie a Lei, alla Sua considerazione, al fatto che mi è stato vicino… ecc. (si è risolto tutto bene)”. Questo sebbene, attenzione, quella persona non abbia fisicamente fatto nulla, si è solo limitata a domandare …cioè si è preoccupata per noi, ha dimostrato considerazione per noi (cosa di cui è le va dato atto).

Nel titoletto ho parlato di “esagerazioni”. Non so se questa lo sia, lascio deciderlo a voi, ma di sicuro gli ultimi due che vediamo riguardano per definizione l’esagerare nella considerazione per gli altri.

Quando si esagera con la considerazione per gli altri, innanzitutto, ci si stanca, è inevitabile. D’altronde si è, in un certo senso, in un continuo stato di pressione e tensione, perché si cerca di essere attenti a tutto, a capire le implicazioni di cosa gli altri dicono, doppi sensi, possibili effetti su di sé e sugli altri… e ovviamente bisogna stare attenti anche quando si parla non solo quando si ascolta. In questo caso i giapponesi parlano di 気づかれ kizukare, “stanchezza dello spirito” (da 気 ki, spirito, e 疲れ tsukare, stanchezza).

Ma c’è anche un altro caso da considerare, quello in cui qualcun altro esageri con le sue attenzioni e siamo noi a pagarne il prezzo. In questo caso si sente spesso parlare di ありがた迷惑 arigatameiwaku, da “arigatai”, un aggettivo che si riferisce a qualcosa di cui esser grati, e “meiwaku”, fastidio, che abbiamo già visto e ci permette di chiudere un cerchio immaginario tornando al primo punto.

Un “gradito fastidio” ha poco senso e infatti non traduce bene, meglio parlare di “un fastidio di cui dover esser grati”, poiché si riferisce a quei casi in cui qualcuno fa un favore o agisce in considerazione di qualcun altro, ma quel qualcun altro, pur riconoscendo la buona intenzione, ne riceve un danno o comunque ritiene che quell’azione sia un fastidio o un favore indesiderato, non richiesto, imposto.

La continuazione di questo articolo (restano fuori i punti B, C e D) …in un prossimo post.

じゃあな~ (⌒▽⌒)/

15 thoughts on “Capire il Giappone – La terza regola della società giapponese

  1. Be’… dopo aver letto questo ultimo post della rubrica, mi sento ancora più combattuta riguardo la società giapponese (;´∀`) Ovviamente ogni cosa ha i suoi lati negativi, ma quello che vorrei capire è se riuscirei mai a integrarmi decentemente in Giappone. In effetti io non mi trovo per niente bene qui in Italia, (quasi) tutti sono estremamente egoisti, egocentrici e stronzi e non ci pensano due volte prima di ferire i tuoi sentimenti. Io qui sono considerata troppo sensibile, troppo empatica, troppo disponobile ad aiutarr gli altri… D’altro canto però del Giappone un po’ mi preoccupa il fatto che l’individuo abbia così poca importanza, perché nonostante riesca indossare tutte le maschere sociali di questo mondo, alla fine rimango comunque “strana” (ho un modo di pensare, dei principi e dei valori tutti miei). Ovviamente non mi aspetto che tu sappia dare una risposta al mio interrogativo (“riuscirei ad adattarmi al Giappone?”), ma magari qualche suggerimento se puoi 🙂

    1. Posso risponderti con un post (è venuto un commento molto lungo) o ti sembrano questione private e preferisci un commento (che è meno visibile)?
      Ti avverto che ho risposto parlando anche in merito a quanto mi dici della tua situazione in Italia (che è più comune di quel che pensi… posso dirlo perché ho ricevuto mail come questo tuo commento).

  2. Non potrei mai vivere in Giappone, sono troppo spontanea XD
    Questo post è estremamente interessante e anche molto triste… comincio a capire un po’ di più perché sia il paese con il più alto numero di suicidi (dire che lavorano troppo è riduttivo, qui lavorano e macinano pensieri anche quando escono con gli amici!)

    1. Ho conosciuto giapponesi spontanei tanto da sembrare italiani! O almeno più italiani di me, che sono l’esatto opposto della spontaneità.
      Alla fine si tratta, come ovunque, di ritagliarsi il proprio angolino di mondo, a propria immagine.
      Non è solo questione di una società adatta alla tua personalità ma anche se, più banalmente, in quella società, che ti si adatti o no, riesci a ricavarti un tuo spazio. E questo non puoi saperlo se non prove.
      E poi come dico spesso gli stranieri hanno un trattamento diverso… può far sentire esclusi, outcast, ma torna anche comodo.

      Sotto un altro aspetto, questo post, anzi il Giappone stesso, è triste solo da un punto di vista. Da un altro punto di vista sarà l’Italia ad esser “triste” (magari l’aggettivo sarà un altro) e il Giappone un posto fantastico.

  3. In un certo senso adesso riesco a capire l’ ottica dei giapponesi però certe situazioni sono davvero assurde….
    Ci sono un sacco di termini per descrivere una determinata situazione, per curiosità questi termini sono usati quotidianamente per minimizzare la descrizione di una data cosa?

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