kotowaru
Famosa battuta tratta dal manga “Le bizzarre avventure di Jojo”

Siamo all’ultima parte dell’articolo “Davvero ga e ma sono la stessa cosa?”, tutti i miei complimenti a chi è arrivato fin qui senza buttare la spugna… ma prima le mie scuse: negli ultimi giorni sono stato malato e non sono riuscito a scrivere niente, a parte qualche risposta ai sempre numerosi commenti ^__^

Nelle precedenti due parti di questo articolo, vi ricorderete, abbiamo visto perché non sempre posso tradurre il “ma” italiano con “ga” e perché viceversa il “ga” giapponese non si può sempre tradurre con il nostro “ma”.

Oggi invece vediamo quei casi in cui vogliamo effettivamente dire “ma”, però il “ga” non va usato o comunque è sostituibile con altre espressioni, a seconda del contesto e delle diverse situazioni.

Dunque, se siete pronti, cominciamo…

3. Ci sono varie espressioni che significano “ma”!

Abbiamo già detto nella prima parte di questo articolo che ci sono modi diversi di tradurre il nostro “ma”, a seconda dei casi. Quindi qui presentiamo in effetti quelle espressioni che equivalgono a “ga”, prima, e altre espressioni poi.

L’uso di “ga” e di espressioni simili in diverse situazioni

Ci sono delle parole quasi uguali a “ga”, ovvero “keredomo” e le sue abbreviazioni “keredo” e “kedo”. Quest’ultima in particolare è così popolare che probabilmente potremmo dire che è più usata e importante dello stesso “ga”.

Ma possibile che non ci sia differenza tra loro? E allora perché una è più usata?

Ovviamente la differenza c’è, a vari livelli. Innanzitutto di linguaggio parlato o scritto. Il linguaggio scritto (dal saggio, alla tesi, alla narrazione* in un romanzo ecc.) usa generalmente la forma piana seguita e “ga”.

*Nei dialoghi invece il discorso cambia: in generale è il tipo di personaggio che “obbliga” l’autore a un certo livello di cortesia, a seconda della situazione, e quindi dobbiamo limitare il nostro discorso alla narrazione, a quando cioè si ha una specie di “voce fuori campo” che ci racconta gli eventi; se questa voce non c’è questo discorso non si può fare.

Le altre espressioni, kedo, keredo, keredomo sono più tipiche del parlato: passando dal primo all’ultimo si aumenta il livello di cortesia. Nel parlato colloquiale informale (cioè con la forma piana) è bene limitarsi ad usare kedo …che viceversa stona un po’, suona molto “casual”, diciamo, se usato insieme alla forma cortese (più è formale il contesto, meno è accettabile usarlo).

Il ga può essere usato con la forma cortese del verbi nel linguaggio parlato; è abbastanza formale, oltre il livello di keredo (del quale è più usato). Di solito lo si evita nel linguaggio colloquiale, cioè insieme alla forma piana dei verbi… Se lo si sente usare con la forma piana è perché, di solito, uomini di una certa età possono esprimersi anche così (chiaro che dipende dal contesto: devono poter usare la forma piana con la persona a cui parlano). Quindi, per capirci, una giovane ragazza (o ragazzo) che parla con amiche/amici non userà mai forma piana + ga, sempre forma piana + kedo …questo anche se in alcuni anime sentirete ragazzi (dal protagonista di Steins;Gate alla bambina protagonista di Kurenai) esprimersi diversamente, con forma piana e ga, questo modo di fare non corrisponde al modo di esprimersi nella realtà.

daga kotowaruDaga kotowaru! – “Però mi rifiuto!”

Il “ma” a inizio frase

Chi ha ancora qualche ricordo delle lezioni di italiano del liceo saprà che a inizio frase il “ma” non si usa (il discorso varrebbe per varie congiunzioni). Non è più una regola ferrea da tempo e “se uno può permetterselo” può essere infranta.

In giapponese, ad ogni modo, questa regola è impensabile. Le frasi giapponesi “vogliono” iniziare con una congiunzione. Riuscite a immaginare perché?

Perché la lingua giapponese richiede frasi brevi, dato che la loro costruzione è complessa e abbastanza anti-intuitiva. Mi spiego meglio. Per costruire una frase in giapponese si parte dalle cose meno importanti e si va a finire con la più importante, il verbo. In genere si mette all’inizio il tema del discorso, poi si presenta magari una subordinata, dentro la quale troviamo magari una relativa, poi finalmente si arriva alla principale… che cominciamo a scrivere dal soggetto, importante per poi passare a cose meno importanti, fino ad arrivare al complemento oggetto, se c’è, parecchio importante e quindi al verbo, importantissimo… seguita magari da una particella o un’espressione che ci comunica un tono, una sfumatura… a volte uno stato d’animo!

Che ne dite? Non è esattamente logica, no?

Dunque, ricapitolando. Le frasi giapponesi sono difficili da costruire: è fisicamente difficile pensarle velocemente. Quindi è il caso di farle brevi. E perciò è bene che comincino con qualche congiunzione che le lega tra loro o il discorso suonerà troppo spezzato. Ecco il perché dell’importanza delle 接続詞 “setsuzokushi” o “congiunzioni”.

Tra queste setsuzokushi alcune possono sostituire il “ma” italiano …o andarci molto vicine (come i nostri “però”, “tuttavia”, “ciononostante”, “nonostante tutto”, ecc.). A inizio frase dunque potremo trovare espressioni come:

  • dakedo, dakeredo, daga, ga, desuga, leredomo …ma non altre espressioni simili perché nel parlato formale si cerca di non contraddire direttamente, quindi più che keredomo, al più ci si ritrova a dire “sou desukeredomo” che però è un’espressione completa, non una congiunzione (certo il discorso viene meno se si fa un’avversativa a quanto abbiamo detto noi stessi).
  • demo – deriva dalla forma in -te del verbo essere unita a mo, equivale a una forma in “-te mo” (anche se…); come le precedenti che iniziano con da o desu anche “demo” sfrutta il verbo essere (de) per “riprendere” la frase precedente, appena detta da noi stessi o dalla persona con cui stiamo parlando.

demoQuanto detto per “demo” sul riprendere la frase precedente vale a maggior ragione per daga, desuga ecc. Nelle due immagini sotto abbiamo proprio in evidenza proprio questo fatto: la frase intera prima…

daga otoko da (1)

…mentre poi abbiamo una frase a sé che inizia con “daga”, così come il “daga kotowaru” della prima e seconda immagine di questa pagina (una frase resa celebra dal fumetto “le bizzarre avventure di Jojo”, da cui è tratto anche il “demo kotowaru” dell’immagine sopra.

daga otoko da (2)

Così terminano le espressioni che possiamo tradurre con “ma” o “però”, le successive, più lunghe e con qualche sfumatura in più, spesso richiedono una traduzione un po’ più complessa.

  • soredemo – Nonostante ciò, ciononostante, eppure
  • shikashi, (da)ga shikashi, shikashi nagara – Tuttavia, E tuttavia; è una congiunzione che permette di aggiungere qualcosa che però è inaspettato rispetto alle attese. (l’uso con daga o nagara è più formale).
  • tadashi – tuttavia, però; concede qualcosa ma vi pone una condizione o un limite
  • tokoro ga – E invece; si usa quando avviene qualcosa che tradisce le attese
  • da to itte mo – Anche se è come dici, Anche se le cose stanno come dici, Sì, però…
  • sore ni shite mo, ni shite mo – Sì, però…, Pur stando così le cose, Ad ogni modo (ni shite mo suona più colloquiale).

Queste espressioni, ad ogni modo, per ora non sono così importanti, lo saranno in futuro e allora sarà necessario approfondire… nel frattempo, alla prossima ^__^

I precedenti articoli:

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